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Zero in governance all’Europa

Rullano i tamburi dell’ultimatum, anche se il vertice di oggi potrebbe finire con l’ennesimo penultimatum: l’Ecofin è stato cancellato, quindi niente ministri operativi, si vedono solo i capi di stato e di governo, ma chi si arroga il diritto di decidere per tutti non è in grado di decidere per se stesso. Il presidente di Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, annuncia accordi dirompenti, ma la cancelliera tedesca, Angela Merkel, è nelle mani della commissione bilancio del Bundestag, segnata dagli umori dei morenti liberali e degli scalpitanti bavaresi. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ragiona guardando a François Hollande e a Marine Le Pen, gli avversari che potrebbero fargli perdere l’Eliseo fra pochi mesi. Germania e Francia hanno preso il potere, in nome di un vecchio mito come l’asse renano, svuotato di senso dalla globalizzazione e di contenuto dalla crisi del 2008. Lo scoppio della bolla immobiliare ha messo in evidenza la debolezza del sistema bancario tedesco e di quello francese. Mentre la Germania ha continuato a usare l’euro per aumentare la propria competitività industriale a scapito del resto d’Europa: entrata nella moneta unica con una bilancia estera in deficit e un prodotto lordo stagnante, dieci anni dopo ha un surplus di quasi cinque punti negli scambi internazionali mentre tutti gli altri sono in rosso, Francia compresa. Il Modell Deutschland ha esportato capitali e risparmi, non solo merci, drenando risorse alla domanda interna e all’area euro.
I francesi hanno fatto buon viso a cattivo gioco esercitando un ruolo gregario travestito da partnership. Moneta unica, mercato unico e due Europe, con quella mediterranea destinata a diventare sempre più preda di imprese parastatali francesi e tedesche: da Edf a Volkswagen nel cui capitale c’è il Land della Bassa Sassonia (uno statalismo federale non meno protezionista di quello centrale). Questa lacerazione viene aiutata da una Banca centrale europea (Bce) a trazione tedesca. Il rischio di un tracollo dell’euro deriva sì dai peccati greci o dalle mollezze italiane, ma anche dall’aver assoggettato un progetto comune agli interessi di pochi. La crisi dei debiti sovrani è crisi della sovranità nazionale senza una nuova sovranità. Per evitare che tutto salti bisogna rivedere la governance. Come? Idee ne circolano a bizzeffe: decisioni davvero collettive prese a maggioranza, riportare al centro le istituzioni europee, tagliate fuori dall’asse Berlino-Parigi, costringere i Parlamenti ad accettare le scelte comunitarie; tutti, anche il Bundestag che ha diritto di veto su Roma, Atene o Madrid. Già sono caduti Socrates e Zapatero, Papandreou è sotto tutela e Berlusconi sotto schiaffo. Un potere degno di un re. Nemmeno se la Ue avesse un governo federale potrebbe giungere a tanto.
In questo indispensabile riassetto dei ruoli, rientra anche la Bce. Fare da fotocopia alla Bundesbank non ha funzionato. Eppure, la Merkel continua a opporsi a un ruolo interventista, in nome di una mitica stabilità. Quale stabilità quando grandi banche e grandi paesi sono sull’orlo del collasso? Un vero nonsense. Se sia realistico cambiare spalla al fucile qui e ora non si sa, ma se non lo si fa, l’euro non ha futuro

Fonte: Il Foglio del 26 ottobre 2011

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