Sul tavolo commercio, diritti umani, Siria Famiglia.Previsto anche un incontro con la famiglia dell’Iowa che lo ospitò, studente, nel 1985.
Dieci anni fa Hu Jintao, un grigio burocrate salito al vertice del Partito comunista cinese, arrivò a Washington, accolto con garbo dal presidente George Bush per una visita preliminare – un po’ «rodaggio», un po’ investitura informale – prima di assumere la guida del grande Paese asiatico. Quel rito si ripete oggi con la visita negli Usa di Xi Jinping: il vicepresidente considerato da tutti gli esperti l’ erede designato a succedere a Hu che a fine anno completerà il suo mandato presidenziale. Due eventi solo apparentemente simili: il percorso diplomatico è lo stesso, ma i due personaggi e i rapporti Usa-Cina maturati negli ultimi anni sono radicalmente diversi. A differenza di Hu – uomo di apparato che ha anche tentato qualche timida riforma, ma si è sempre mosso con grande prudenza e ha tenuto a una certa distanza i leader stranieri coi quali ha dialogato – Xi è un leader estroverso che ama coltivare amicizie internazionali e che conosce bene l’ America. Anche la sua storia personale e professionale è diversissima da quella di Hu. Figlio di un alto dirigente del Pcc epurato, Xi – per sfuggire al destino del padre – si costruì una carriera extra politica: laurea in chimica, poi ingegnere esperto di biocarburanti. La sua ascesa nel Partito è relativamente recente (il padre è stato tardivamente riabilitato). Sposato con una celebre cantante, amico di manager e banchieri americani e con una figlia che studia ad Harvard, il vicepresidente cinese sembra deciso a costruirsi negli Usa l’ immagine di un leader aperto e affabile: dopo Washington e prima della visita in California, andrà a Muscatine, un villaggio dell’ Iowa da lui visitato nel 1985 durante una missione di studio dedicata alle tecnologie agricole, a trovare la famiglia che lo ospitò nella sua casa: «Uomo molto affabile, gentile e curioso che dormì volentieri nella camera dei ragazzi, appena partiti per il college, tappezzata di poster di Star Trek», lo ricorda la padrona di casa, Eleanor Dvorchak. Xi sarà cordialissimo anche stavolta e ostenterà familiarità con l’ America (vuole anche assistere a una partita di basket della Nba). Anche il vicepresidente Joe Biden, che avrà con lui ben otto incontri e lo accompagnerà per tutta la visita, sarà cordiale, così come affabile si mostrerà stamani Barack Obama nell’ incontro alla Casa Bianca. Ma, anche se tutti hanno una gran voglia di collaborare e se gli americani sognano un «reset» delle relazioni Washington-Pechino con un leader che li comprende meglio, la realtà è che negli ultimi anni il terreno dei rapporti tra i due Paesi si è fatto molto accidentato tanto sul piano economico quanto su quello politico-militare. Oggi Obama, dopo i sorrisi, dovrà porre sul tavolo le questioni dei diritti umani violati, della repressione in Tibet, del veto di Pechino alla risoluzione sulla Siria votata la settimana scorsa dal Consiglio di sicurezza dell’ Onu. Quanto all’ economia, l’ America che si sta lentamente riprendendo dalla recessione ha crescenti tentazioni protezioniste. Per bloccare le pressioni del Congresso che vanno in questa direzione, il presidente incalzerà il prossimo leader cinese sul commercio. Del resto Obama l’ ha già detto chiaramente, pochi giorni fa, nel messaggio sullo Stato dell’ Unione: «Non starò con le mani in mano davanti a concorrenti che violano le regole. Abbiamo già raddoppiato i procedimenti per le infrazioni della Cina, ma dobbiamo fare di più. Non tollereremo la pirateria commerciale né la concorrenza di produttori che prevalgono sulle nostre industrie grazie alle sovvenzioni». Certo, per ora sono parole e anche Bush, a fine mandato, aveva alzato la voce. Senza conseguenze. Pechino, poi, è il maggiore creditore del Tesoro Usa. Ma Obama ormai sa che la minaccia cinese di investire altrove è poco credibile (non esiste un «altrove» abbastanza vasto e più sicuro). E poi il presidente è incalzato dai candidati repubblicani alla Casa Bianca che chiedono più durezza verso Pechino: il «moderato» Mitt Romney parla, ad esempio, dei cinesi come di ladri di posti di lavoro Usa e definisce «una barbarie» la politica demografica che impone alle famiglie il figlio unico. Xi probabilmente sarà più aperto ai cambiamenti del suo predecessore, ma anche lui camminerà su un sentiero molto stretto: il boom cinese sta finendo e quindi, a differenza di Hu che ha governato in un periodo di grande crescita del benessere, dovrà fronteggiare problemi sociali e tensioni interne. Per lui, poi, ai vincoli del partito si aggiungeranno quelli di un esercito molto nazionalista che sta già proiettando l’ espansionismo cinese nei mari orientali, con rivendicazioni territoriali di isole contese a Giappone, Vietnam e Corea. Militari potenti e allarmatissimi dal rafforzamento del dispositivo militare americano in Estremo Oriente, deciso da Obama a protezione dei suoi alleati. Tema che scotta, tanto che oggi Xi, tra un incontro con Obama, una visita ai leader repubblicani al Congresso e una cena con Biden, andrà anche al Pentagono a incontrare il ministro della Difesa Leon Panetta e i capi di Stato maggiore.
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