Per afferrare a pieno il dibattito di politica economica in corso in Italia (compreso quello sulla legge di Stabilità in discussione al Senato), occorre tenere conto non solamente degli obblighi europei (come quelli derivanti dal Trattato di Maastricht e dal Fiscal Compact), ma anche del contesto internazionale.Dalla metà degli anni Novanta leconomia mondiale è alla ricerca di nuovi equilibri: Europa, Nord America e pochi Paesi dellEmisfero Meridionale hanno perso infatti il monopolio del progresso tecnologico di cui hanno goduto per due secoli. Ciò ha consentito da un lato a circa un miliardo e mezzo di persone di uscire dalla povertà assoluta (un reddito equivalente a meno di due dollari al giorno), dallaltro ha comportato una contrazione dei redditi nelle aree che hanno mostrato meno «efficienza adattativa» alla nuova situazione.
Nellambito di questo contesto più vasto, vediamo cosa sta avvenendo negli Usa, in Asia edin Europa e ciò che comporta per noi. Negli Stati Uniti e nel vicino Canada è in corso una ripresa: nellultimo trimestre il Pil dei due Paesi è cresciuto a tassi annui, rispettivamente, del 2,5% e dell1,7%. La disoccupazione è sul 7% della forza lavoro e il tasso dinflazione attorno all1,3%. Soprattutto, la crisi del 2007-2010, ha fornito agli Usa loccasione di ridurre drasticamente indebitamento di famiglie ed imprese (grazie anche occorre dirlo a una normativa fallimentare particolarmente attenta a questi aspetti): nel 2008, lindebitamento di famiglie e imprese americane sfiorava il 350% del Pil rispetto al 180% oggi (tanto quanto lItalia). Ciò è avvenuto anche grazie alla crescita alimentata in parte da flussi immigratori (specialmente di giovani molto preparati e molto determinati ad avere un futuro migliore), ma anche a una politica di bilancio e della moneta rivolta allo sviluppo. Ciò ha comportato misure monetarie non convenzionali (ossia unespansione della liquidità che consente ai tassi dinteresse a dieci anni di aggirarsi sul 3% lanno), una politica di bilancio moderatamente restrittiva (si pensi al dibattito sullautorizzazione ad aumen¬tare il tetto del debito pubblico) e una negligenza benevola nei confronti del tasso di cambio, che si è gradualmen¬te deprezzato, nel corso dellultimo anno, rispetto alle principali valute.
Il deprezzamento del cambio Usa preoccupa naturalmente lEuropa e lItalia. Preoccupa ancora di più lAsia, specialmente la Cina (principale acquirenti, da lustri,di titoli denominati in dollari).Tuttavia, nel bacino del Pacifico, gli effetti della politica economica americana sono temperati, in parte, dall«Abenomics», la forte politica espansionista del Giappone, nonché dal leggero rallentamento della crescita cinese e dai severi problemi interni del Celeste Impero: si pensi solamente agli effetti nefasti di anni di politica di severo controllo nelle nascite.
LAsia è comunque in crescita sostenuta e sta risolvendo parte dei problemi di povertà assoluta. Tuttavia, sono in fase di rallentamento i programmi di integrazione finanziaria, monetaria e commerciale, abbozzati in passato seguendo lesempio dellUnione Europea (Ue). O meglio si sta andando lentamente verso una vasta zona di libero scambio del Pacifico, con un drappello di punta nei Paesi dellAsean (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) mentre sembrano accantonati quelli finanziari e monetari (anche per evitare tensioni quali quelle oggi in atto nel Vecchio Continente). A riguardo, occorre valutare molto positivamente liniziativa presa allinizio di ottobre dal governo Letta di annunciare per lautunno 2014 una riunione a Milano dei Capi di Stato e di governo dellAsem (Asia – Europa Meeting) , una struttura agile che in passato è stata molto utile alla collaborazione tra i due Continenti e alla loro comprensione reciproca, ma che negli ultimi anni era parsa in dormiveglia.
È chiaro che per gli Stati Uniti gran parte dellEuropa è considerata di fatto un «vecchio» Continente, con meno potenziale, cioè, per gli americani, dellAsia. Tuttavia, da Washington è stato presentato un ramoscello dulivo:la Transatlantic Partership, un grande negoziato per liberalizzare barriere agli scambi di merci e servizi. Esso rappresenta unopportunità per i Paesi con più difficoltà a crescere (per lEurozona il 2013 si chiude con una contrazione del Pil dello 0,3% e per lItalia dell1,7%). Implicherebbe infatti una drastica revisione della politica agricola comune (che pesa in modo molto forte sui contribuenti e sui consumatori italiani) e una forte apertura dei servizi (in primo luogo quelli finanziari). Bloccare la trattativa in nome dell«eccezione culturale» (tesi francese, seguita però da numerosi italiani) potrebbe avere un costo elevato soprattutto per le future generazioni.
Il quadro economico internazionale, quindi, quasi ci obbliga a una strategia di crescita. A riguardo sarà interessante notare nelle prossime settimane le reazioni alla proposta tedesca di rivedere i Trattati delleurozona tramite protocolli interpretativi e accordi contrattuali. Il secondo semestre 2014, quando lItalia presiederà il Consiglio europeo, potrebbe essere la fase chiave di una trattativa. Già si parla di un grande convegno in-ternazionale tecnico a Roma per il 24-25 marzo sotto legida dellIstituto Affari Internazionali, da sempre molto vicino alla Farnesina.
Vi confesso perche’ questa legge di stabilita’ mi ha sconcertato
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