• lunedì , 23 Dicembre 2024

Venti di riforma nella tutela del risparmio

Venti di riforma nella tutela del risparmio – In mancanza di una relazione alla bozza di disegno di legge sui “Provvedimenti per la tutela del risparmio” esaminato a più riprese in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, la scorsa settimana, non ci si può non rifare a quanto dichiarato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze dinanzi alle quattro Commissioni parlamentari riunite per una rapida acquisizione di analisi e di proposte in merito agli scandali finanziari dovuti ad abusi nell’emissione e/o nel collocamento di obbligazioni societarie. Già nell’introduzione il §02 suona: “In sintesi, l’ordinamento giuridico italiano non conosce e non disciplina – ancora – una competenza istituzionale organica sul bene fondamentale identificato dall’art. 47, primo comma, della Costituzione: sul risparmio. E’ questa la ‘lacuna’ che va colmata.” La strategia di riforma ipotizzata parte dalla supervisione e tocca vari aspetti della regolamentazione (abusi di mercato, revisori, incompatibilità, ecc.). Limitandoci alla prima, il §3.2 puntualizza: “…alla unicità costituzionale fondamentale del bene pubblico da tutelare – il risparmio – deve corrispondere, se non una unicità organica (una autorità unica), certamente una unicità funzionale… [Vale a dire] …tre autorità – Banca d’Italia, nuova supervisione, Antitrust – [con] adeguata, coerente, simmetrica competenza funzionale rispettivamente su: stabilità, risparmio, concorrenza” (sottolineature nel testo originale). Le domande che queste citazioni pongono all’interprete sono diverse: E’ possibile che ci si sia accorti di una lacuna così vistosa ad oltre cinquant’anni dall’approvazione della Carta costituzionale? Siamo sicuri che essa non derivi da un equivoco semantico? Se, comunque, il risparmio è meritevole di una più attenta o di un’accresciuta supervisione, la ridistribuzione dei compiti che viene proposta al Parlamento risponde alla bisogna?
1. Nel Rapporto che la Commissione economica in seno al Ministero della Costituente rassegnò all’Assemblea Costituente per l’art. 47 (originariamente indicato come 44) espressamente si diceva: “La tutela del risparmio solleva due problemi: il primo, quello della conservazione del valore della moneta; il secondo, quello della salvaguardia dei depositi dai dissesti bancari”. Su quest’ultimo aspetto non vi furono particolari problemi, poiché all’interno della Commissione si condivideva l’opinione secondo la quale l’intero ordinamento di vigilanza e di controllo del credito avesse come scopo principale la protezione dei depositi. Sul tema della stabilità monetaria, dopo gli approfondimenti cui parteciparono studiosi, enti ed imprese, si decise di non introdurre alcun precetto nella Carta; soltanto con il Trattato di Maastricht il rapporto “costituzionale” tra la salvaguardia dei depositi e la stabilità dei prezzi è stato di fatto riequilibrato. Fu l’emendamento Zerbi del 19 Maggio 1947 ad introdurre in Assemblea nell’art. 47 la dizione che appare nella prima parte del primo comma (“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;”), nonché quella del secondo comma (“Favorisce l’accesso del risparmio popolare a…”). I padri costituenti, quindi, si occuparono di salvaguardia dei depositi bancari e solo all’ultimo momento estesero la tutela, trascurando comunque ogni casistica dei modi, ad ogni forma di risparmio. Alla preesistente legislazione bancaria del 1936, sono seguite, infatti, le norme sulla Consob nel 1974, del Testo unico bancario nel 1993 e di quello finanziario nel 1998, per citare solo le principali.
2. La questione che si pone, ora, è se il risparmio ha una sufficiente omogeneità da permettere un unico tipo di tutela. La prima distinzione è tra risparmio reale, quello che s’investe in case, terreni, mezzi di trasporto, mobilia, gioielli, ecc. e risparmio finanziario delle famiglie. E’ sufficiente scorrere le loro attività finanziarie per comprendere la varietà degli strumenti che vi confluiscono: biglietti, monete e depositi a vista; altri tipi di deposito; titoli a breve termine; titoli a medio o lungo termine; azioni e altre partecipazioni; quote di fondi comuni; riserve tecniche di compagnie assicurative; altri conti. Tra le passività finanziarie delle famiglie figurano principalmente i prestiti a breve e, soprattutto, quelli a lungo termine. I rischi connessi a queste forme d’investimento in cui affluisce il risparmio sono altamente diversi e non possono essere trattati in modo unitario. Inoltre, con la crescente finanziarizzazione dell’economia, le attività finanziarie delle famiglie italiane, come stock, rappresentano poco meno del 30% di quelle del Paese e le passività circa il 5%; se si guarda ai flussi la situazione non cambia di molto. Ciò che va tutelata attraverso la regolamentazione e la supervisione è l’intera struttura finanziaria, intermediaria del risparmio familiare accumulato e moltiplicatrice di debiti e crediti. Ecco perché nel tempo si è cercato di guardare agl’intermediari, agli strumenti che essi collocano, alle regole di buona condotta operativa che devono seguire e ai conflitti d’interesse che debbono evitare; soltanto a quelli che emettono passività monetarie si addice una vigilanza prudenziale che ne tuteli la stabilità, mentre per gli altri l’accento è sulle regole di buona condotta.
Non solo il risparmio investito non è omogeneo, ma la sua qualificazione come bene pubblico, al pari della stabilità e della concorrenza, rischia di rendere il dibattito, già al calore bianco, scarsamente comprensibile. Seguendo Samuelson, la stabilità, la concorrenza, la correttezza nelle operazioni e nei comportamenti sono beni pubblici come la difesa, quindi indivisibili e non (facilmente) escludibili dal comune godimento per ragioni tecniche, legali o di costo. Il risparmio, invece, è un bene privato, frutto dei sudori e delle decisioni del singolo, ma altamente meritevole di tutela, costituzionalmente prevista. Certo, v’è libertà d’innovare nel linguaggio e nelle categorie logiche, ma ciò non facilita i termini del dibattito, anche se talvolta accresce le probabilità del compromesso politico…
3. Negli Stati Uniti, dopo gli scandali Enron, WorldCom, Tyco, ecc., la legislazione portata avanti con decisione dal Congresso ha prodotto il compromesso tra il democratico Sarbanes e il repubblicano Hoxley; esso si è incentrato sulla regolamentazione con l’introduzione del Public Company Accounting Oversight Board, collocato nell’ambito della SEC e affidato alle cure dell’ex Presidente della Fed di New York, W. J. McDonough, e soprattutto con l’inasprimento delle pene. In Italia, invece, tutte le innovazioni nella regolamentazione sono rinviatei a decreti legislativi da emanare in attuazione di deleghe al Governo (recepimento della Direttiva sugli abusi di mercato, trasparenza delle società estere, conflitti di interesse tra banche e imprese, nonché degli OICR, sistema d’indennizzo dei risparmiatori, società di revisione, sanzioni). L’unica norma di cui è prevista l’entrata in vigore non appena il disegno di legge sarà approvato dal Parlamento riguarda la responsabilità patrimoniale delle aziende collocatrici, in caso d’insolvenza dell’emittente, per titoli destinati agl’investitori istituzionali ma ceduti ai privati…
Il fulcro dell’azione pubblica è nella ridefinizione dei compiti di supervisione tra la Banca d’Italia, la Consob ridenominata Autorità per la tutela del risparmio e l’Autorità per la tutela della concorrenza. Da tempo, alcuni sostanziali ritocchi ai campi di attività delle tre agenzie erano raccomandati da molti, ma il depotenziamento della Banca d’Italia che giunge sino a toglierle uomini e immobili mi sembra che vada ben al di là dell’opportuno e di quanto i mercati internazionali possono accettare senza chiedersi se il sistema delle autorità indipendenti, Banca d’Italia compresa, non sia sul viale del tramonto… Infatti, un osservatore indipendente che si domandasse qual è stata nel caso Parmalat la responsabilità della Banca d’Italia dovrebbe concludere che essa, sebbene non competente ratione materiae, ha mancato di chiedersi se la società, con il suo massiccio ricorso all’indebitamento obbligazionario controbilanciato da un apparente aumento di risorse liquide, non si stesse trasformando in un intermediario finanziario anomalo e che l’eccessiva fiducia in se stessa l’ha portata ad abbandonare il tradizionale riguardo per il potere politico. Vale la pena di umiliare una delle poche istituzioni italiane sempre rispettate all’estero per soddisfare una libido reformandi?
25 gennaio 2004

Fonte: Il Sole 24 Ore del 3 febbraio 2004

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