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Urgono scelte epocali

Brindiamo, il gaudio è giustificato. Prudentemente, però, facciamolo con l’acqua. Perché se non c’è dubbio che dopo aver pericolosamente oscillato sul ciglio del baratro di una spaventosa crisi finanziaria tale da poter mettere al tappeto l’euro e con esso l’intero impianto comunitario europeo, l’essere stati capaci all’ultimo minuto disponibile di un colpo di reni che ci ha messo in sicurezza, è cosa che merita di essere festeggiata, altrettanto vero è che le contromisure prese dal burrascoso vertice europeo nella notte tra domenica e lunedì fronteggiano sì efficacemente il comportamento dei mercati che rischiava di diffondere il virus greco contagiando l’intera Europa – e di questo c’era necessità prima di ogni altra cosa – ma non risolvono i problemi di fondo che hanno consentito a quell’attacco speculativo di essere così efficace.
Certo, la reazione positiva dei mercati è stata così forte, ieri, da indurre a pensare che davvero il peggio sia passato. Le Borse sono letteralmente volate, con Madrid e Milano che da peggiori d’Europa nei giorni dei grandi crolli sono passate a conquistare il primato dei rialzi, la prima con un clamoroso +14,43% e la seconda con un +11,28% che risulta essere la seconda migliore performance di piazza Affari da quando (1994) esiste il mercato telematico. L’euro ha recuperato punti sul dollaro, tornando in corso di giornata sopra quota 1,30 per poi fermarsi a 1,29. I titoli di Stato dei paesi più esposti al rischio contagio del virus greco hanno recuperato punti, accorciando tutti (Grecia compresa) il differenziale con i bund tedeschi, considerati il top della sicurezza paese dagli investitori. E persino i dati congiunturali di Italia e Germania hanno contributo alla festa: da noi la produzione industriale di marzo si è incrementata (+6,4%) come non accadeva da tre anni, facendo intravedere una “ripresina”, anche se l’industria italiana è ancora ben lontana dai livelli pre-crisi (se nell’aprile 2008 l’indice della produzione segnava 108,3 e oggi è a quota 85,7 la differenza ammonta ancora a 22,6 punti); mentre l’export tedesco – decisivo per la crescita del pil continentale – è letteralmente esploso, il dato è sempre relativo a marzo, segnando con un +10,7% il record di crescita mensile dal 1992.
Insomma, dal punto di vista dei mercati miglior riscontro non ci poteva essere. Anche perché la Bce e le banche centrali di alcuni paesi, tra cui Bankitalia, si sono mosse subito ad acquistare titoli di Stato messi in vendita per tirare giù i prezzi e alzare i differenziali, e la mossa è apparsa tempestiva ed efficace.
Tuttavia, sarebbe sbagliato lasciarsi andare – come qualcuno ha già fatto, specie in Italia – all’euforia. E non solo per ragioni di mera prudenza. Il fatto è che le contromisure europee hanno alcuni limiti che non possono essere sottaciuti. Intanto, esse mettono in campo una cifra molto consistente in assoluto, ma che potrebbe rivelarsi insufficiente in termini relativi. Se pensiamo che nei quattro giorni neri della scorsa settimana le Borse europee avevano bruciato qualcosa come 440 miliardi di capitalizzazione, è facile dedurre che i 750 miliardi messi sul tavolo complessivamente tra interventi a carico Ue e a carico Fondo Monetario potrebbero non bastare se la speculazione, dopo aver fatto il pieno di utili con i rialzi di ieri – perché sia chiaro che a guadagnare sono stati gli stessi investitori che nei giorni scorsi avevano buttato giù i mercati – decidesse di riprovarci. Ma se anche fosse che per il momento la liquidità in cerca di alte remunerazioni rivolgesse le sue attenzioni ad altre prede, rimangono da risolvere i problemi di fondo. Da un lato, quelli relativi alle regole e alla governance dei mercati finanziari – tra cui, per esempio, eventuali decisioni da prendere contro le agenzie di rating e le loro pagelle usate dalla speculazione come armi improprie – e dall’altro, quelli che riguardano i difetti genetici dell’eurosistema e della stessa costruzione comunitaria.
C’è da riscrivere il Patto di stabilità e crescita, ormai superato, e occorre farlo per dare un senso più compiuto alla richiesta di maggiore rigore nella gestione della finanza pubblica. Non a caso ieri il presidente Sarkozy ha sentito il bisogno di ribadire che la linea francese era e rimane quella del rigore ma non dell’austerità, denunciando così che in seno all’eurogruppo c’era chi – è facile indovinare: la Germania, e con essa i paesi più virtuosi – voleva che a fronte del denaro per arginare la speculazione contro i paesi più a rischio, per questi ultimi fosse già messo nero su bianco quanti e quali sacrifici fossero obbligati a fare. Due linee che si sono evidentemente scontrate nell’Ecofin dell’altra notte, e non c’è bisogno di arrivare a pensare che sia stato decisivo l’intervento di Obama per dire che comunque ancora una volta l’Europa è arrivata ad un appuntamento decisivo divisa e tentennante.
E c’è da scrivere un’agenda delle tappe per riprendere il cammino, interrotto paradossalmente proprio con la nascita dell’euro, dell’integrazione politico istituzionale dell’Europa, sapendo che solo gli Stati Uniti d’Europa su base federale possono consentire all’euro di darsi lunga vita e all’economia continentale, oggi orfana della domanda e quindi debitrice solo della capacità esportativa, di riprendere la strada dello sviluppo, altrimenti compromessa dai nuovi rapporti di forza che nel mondo globale si sono stabiliti con la fine della recessione, a tutto favore dell’asse Usa-Asia e di alcuni paesi emergenti.
Si tratta di scelte epocali, che vanno ben al di là delle misure emergenziali anti-speculazione. Speriamo che queste seconde continuino a funzionare come è stato ieri, ma soprattutto speriamo che arrivi presto il tempo delle prime.

Fonte: Messaggero 11 maggio 2010

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