di Fabrizio Onida
Nell’intervista di Carmine Fotia di martedi scorso su questo giornale al neo presidente dell’Ice Carlo Ferro (“Useremo la blockchain per tutelare il Made in Italy”) emerge un ampio spettro di obiettivi di azione, giustamente centrati sulla digitalizzazione come strumento per potenziare le piattaforme esportative delle imprese. Mi auguro che i nuovi vertici dell’Agenzia Ice, condividano due esigenze: 1) dare continuità alle migliori azioni innovatrici intraprese dai precedenti vertici negli scorsi anni, e al tempo stesso 2) realizzare un’agenda che – oltre a qualificare sempre meglio il tradizionale ruolo di accompagnamento delle imprese alle più importanti fiere settoriali nazionali e internazionali e di assistenza tecnica personalizzata tramite gli uffici esteri – punti a valorizzare le imprese eccellenti nei diversi settori e territori, mettendo al primo posto l’innovazione nei prodotti e nei servizi come condizione essenziale di competitività internazionale.
Tra le buone eredità dalla precedente governance dell’Ice vi sono certamente: a) forte sostegno alla diffusione dell’e-commerce; b) organizzazione di poche ma robuste “missioni di sistema” e “business forum” nei mercati più promettenti mirate a far percepire l’Italia manifatturiera come affidabile creativa e flessibile “offerta delle varietà”; c) accordi pervasivi con la Grande Distribuzione Organizzata nei mercati-chiave dei beni di consumo; d) “roadshow” congiunti Ice-Sace-Simest-Confindustria sui territori in cui ancora troppi esportatori occasionali devono scoprire i vantaggi del diventare esportatori abituali, scoprendo le virtù della capillare rete degli uffici Ice all’estero; d) distribuzione dei voucher del Mise per “temporary export manager” utili alle imprese esportatrici di minore dimensione; e) allargamento della gamma di attività formative (anche in collaborazione con Università e Politecnici) per innalzare progressivamente le competenze digitali e la qualità complessiva del capitale umano a cui devono attingere imprese esportatrici e investitrici vecchie e nuove.
Per rafforzare il secondo obiettivo (valorizzazione delle imprese eccellenti nel solco della missione pubblica dell’Ice), basta richiamare la ricca letteratura economica internazionale (sviluppata in Italia da ricerche di Istat, Banca d’Italia e di numerosi studiosi), secondo cui la crescita nel tempo del peso delle imprese più dinamiche e innovatrici rispetto alle imprese più deboli spesso candidate a uscire dal mercato, è condizione necessaria per imprimere una spinta alla crescita della produttività totale del paese (la nostra grande malata). Non dimenticando che obiettivo di sviluppo del paese è non tanto la dimensione del fatturato (incluso il fatturato esportato, troppo spesso assunto come unico indicatore di successo) e nemmeno la crescita della dimensione del PIL (valore aggiunto) bensì la crescita del PIl per abitante cioè il valore aggiunto pro capite, altrimenti detto produttività. Come ama spesso ricordare Paul Krugman (premio Nobel economia 2008), quando si parla di sviluppo di un paese la produttività è “quasi tutto”, ovviamente senza dimenticare la dimensione sociale, cioè la distribuzione della ricchezza tra gli abitanti.
Per identificare e coinvolgere le imprese eccellenti a monte e a valle della tradizionale attività promozionale, l’Ice dovrebbe coltivare maggiori interazioni con organismi esterni che hanno il polso del mercato e dei suoi protagonisti (banche e assicurazioni, istituti di ricerca specializzata, società di investimento, professionisti esperti, giornalisti ecc.). I dirigenti e il personale qualificato dell’Ice in Italia e all’estero andrebbero spinti, magari anche con incentivi e premi di produttività, a raccogliere sistematicamente informazioni e previsioni di mercato, superando formalismi e un pericoloso approccio autoreferenziale. Ad esempio, nel promuovere il made in Italy dei beni di consumo (tessile-abbigliamento, casa-arredo, design, alimentare) servirebbe confrontarsi con le opinioni di responsabili dei grandi gruppi (prevalentemente francesi) che in questi anni hanno acquisito il controllo dei nostri marchi più prestigiosi. Così come, nel disegnare le azioni promozionali dei beni strumentali e intermedi in cui operano alcune tra le nostre più dinamiche imprese esportatrici e investitrici, spesso fornitrici dei maggiori gruppi globali, sarebbero assai utili segnalazioni e opinioni di manager di fondi di private equity, fino a responsabili bancari di corporate investment ed esperti indipendenti.
Fonte: da Sole 24 Ore, 31 gennaio 2019