A PROPOSITO del nostro regime previdenziale-assistenziale, anche il «governo dei professori» ha ripetuto la solita litania che ci sentiamo raccontare da anni (non ha fatto eccezione l`esecutivo di centrodestra): il sistema non solo è in equilibrio, ma è uno dei più sostenibili d`Europa. Il che non è di grande consolazione dal momento che il Vecchio Continente rischia di andare a gambe all`aria proprio perché il suo «modello sociale» non consente all`economia di essere competitiva sui mercati globali. Per non parlare di due altri aspetti di cui sembra esservi l`ordine di tacere:
almeno metà del debito pubblico che sta strangolando le nostre prospettive future è dovuto a regole pensionistiche che per decenni hanno assicurato prestazioni non sorrette da una contribuzione adeguata;
l`incidenza della nostra spesa pensionistica sul Pil è oggi superiore di almeno due punti percentuali a quella media della Eu 15 e resterà maggiore di 1,5 punti anche a metà del secolo. Le pensioni di anzianità (il cui importo medio è pari al doppio di quello dei trattamenti di vecchiaia e la cui erogazione dura circa 5-6 di più) sono una prerogativa dei lavoratori maschi, occupati nelle regioni settentrionali e, in generale, nei settori manifatturieri, mentre nel Sud prevalgono, nel lavoro privato, gli istituti della vecchiaia e dell`invalidità.
A PERCEPIRE la pensione di vecchiaia sono in larga misura le lavoratrici. In Italia, infatti, vanno in quiescenza per vecchiaia (secondo i requisiti anagrafici previsti) soltanto coloro che non possono avvalersi dei requisiti di anzianità richiesti – almeno 35 anni conseguibili, in età ancora «precoce», grazie a una vita di lavoro stabile e continuativa. Al settore previdenziale-assistenziale è stata richiesta sovente una funzione di protezione sociale anomala. A ridosso degli anni del miracolo economico per assicurare un reddito a quanti erano rimasti nelle realtà territoriali spogliate e impoverite dall`immigrazione verso il triangolo industriale, furono riconosciute centinaia di migliaia di prestazioni di invalidità pensionabile, tanto che il loro numero finì, negli anni 70, per superare quello degli altri trattamenti previdenziali. All`inizio degli anni `80 il settore venne riformato; così, la società assistita si spostò sull`invalidità civile. Allora Si erogavano, a quel titolo, 400miia pensioni; oggi le prestazioni sono salite a 2,7 milioni per una spesa complessiva annua (a cui concorre anche l`invecchiamento della popolazione) pari a 17 miliardi. Il governo Berlusconi ha lasciato a Mario Monti una nonna di una delega che, oltre al fisco, deve riordinare anche il comparto dell`assistenza assicurando un risparmio di parecchi miliardi, già contabilizzati nel quadro dell`obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013.
Una spesa enorme da frenare subito
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