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Una recente, ipocrita ambizione:fare un libro

Quel che ci accomuna e ci distingue come Nazione è più di ogni altro elemento la cultura, il patrimonio storico di cui siamo eredi, la cultura che vive in tutte le sue espressioni come ricerca e come creazione. È qui un nostro fondamentale punto di orgoglio e di forza nel presentare al mondo il bilancio dei 150 anni dell’Italia unita”. Lo ha detto il presidente Napolitano il 16 febbraio scorso, pochi giorni dopo che un’ulteriore flessione delle vendite di giornali aveva rinnovato le note polemiche sul tema “gli italiani leggono sempre meno.” e sul corollario: l’incultura dei giovani di oggi. E’ un tema che è stato approfondito soprattutto dal benemerito CENSIS con conclusioni davvero scoraggianti, perché il fenomeno tende ad aggravarsi. L’informazione in Italia è ormai recepita essenzialmente via TV o anche audio via radio e, in subordine, sui PC, proprio mentre cala anche la lettura di libri (il calo della produzione di libri è iniziato nel 1998, anche a causa della possibilità di trasferire il contenuto di libri sul PC) per il crescente numero di vecchi che, oltre alla pigrizia di inforcare gli occhiali, avvertono una graduale perdita di memorizzazione immediata ossia dimenticano quanto letto poco prima e sono costretti alla lettura tutta d’un fiato.
Eppure, in Italia, la stampa di “nuovi libri” si è di recente ripresa. Le statistiche ISTAT in forte ritardo (giungono al 2008) mostrano solo dal 2007 l’inizio dell’aumento delle “prime edizioni” a fronte del proseguire nell’anzidetto calo notevole della tiratura complessiva di libri. Che cosa è mai successo? La risposta è facile: ricercatori universitari stipendiati ma sfaccendati, funzionari di enti locali in soprannumero, persone addette a compiti para-culturali e sindacalisti senza impegni di lavoro in fabbrica sono oggi preoccupati di dimostrare che non sbafano lo stipendio o il salario. La prospettiva di un sistema di meritocrazia induce i più furbi a mettere le mani avanti. Cosa di meglio di pubblicare un libro? E’ un ipocrisia spagnola? Certo, ma non importa. Oggi, i pochi in grado di provvedere da soli, sono già al lavoro. Altri cercano pennivendoli che registrano chiacchierate con chi ambisce mostrare un proprio libro oppure producono testi scopiazzati o persino derivati da collezioni di articoli di giornale (ultimamente ne è stato presentato uno a un dibattito per Padoa Schioppa) con la quasi certezza che, racchiuse in un libro, nessuno approfondirà l’eventuale lettura e avvertirà la non originalità. Sarà la pacchia, domani, per i ghost writers.
Se i vecchi in forte aumento in Italia hanno più bisogno di occhiali da presbiotici e non memorizzano l’immediato e se i giovani, anche disoccupati, stentano vieppiù ad andare molto oltre l’alfabetizzazione avremo alcune conseguenze spiacevoli. La prima: un ulteriore calo della produzione complessiva di libri con eccezione delle “prime edizioni” per le ragioni già dette; la seconda: un maggior ricorso all’informazione fornita dai video-testi (TV, PC ecc.) con minor approfondimento del contenuto da parte del lettore a causa della maggior stanchezza di occhi abbacinati dalle letture in nero su fondo bianco o maggiore sforzo per quelle in bianco su fondo nero; la terza: la superficialità delle nozioni che i giovani trattengono a mente dopo le video-letture sulle quali non ci si sofferma come accade invece per la carta stampata (giornali, riviste, libri) che si possono riporre e riprendere in mano senza accendere o spegnere alcunché, con relative attese; la quarta: la tentazione di ricorrere vieppiù alle abbreviazioni di molte parole ed alla pratica dei giovanissimi di esprimere con consonanti il suono di parole che disimparano rapidamente.
In sintesi, siamo in presenza di una progressiva trasformazione che dalla lingua parlata tende a trasferirsi su quella scritta contestualmente ad una sempre maggiore incoltura dei giovani. Spiace che, con queste osservazioni, si svuotino di contenuto le espressioni wishfull thinking del Presidente Napolitano. Egli soggiorna in una turris eburnea e vive la realtà esterna solo per ciò che gli dicono i suoi collaboratori. Ma è da temere che essi non siano di giovane età e che i gruppi di giovani, spesso tra i più facinorosi, che il Presidente invita talvolta al Quirinale per mostrare quanto egli sia aperto al nuovo ed alle voci delle piazze, facciano parte di una recita ad uso della nostra TV e dei telespettatori RAI e non una vera fonte d’informazione diretta.
Dopo queste osservazioni che tutte inducono a preoccuparci per la crescente assenza di cultura degli italiani, non ci resta che auspicare che le riforme della Gelmini portino qualche frutto correttivo. Se c’é poco da sperare nella resipiscenza delle famiglie (la recente marea delle donne in piazza la dice brutta sull’impegno delle madri nell’istruzione dei figli), speriamo che qualcosa, almeno, possa venire dalla scuola. Da qualche parte dobbiamo pur cominciare.

Fonte: Nota Breve Per gli Amici del 21 febbraio 2011

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