• venerdì , 22 Novembre 2024

Una politica dei taxi per difendere l’ambiente

Per evitare, o diradare, le periodiche guerre dei taxi che affliggono le nostre grandi città basterebbe probabilmente muovere da una semplice domanda: a che debbono servire i taxi? La domanda non è così banale come può sembrare perché si tratta di definire la (eventuale) cornice politica nella quale affrontare una questione che altrimenti – è evidente – non trova soluzione. I taxi servono, certo, ad assicurare un trasferimento a chi non dispone di un mezzo proprio ed ha esigenze che i mezzi pubblici collettivi non possono soddisfare. Ma servono, o possono servire, anche per offrire una alternativa all’uso dei mezzi privati, ad esempio nel quadro di una politica volta a ridurre il traffico, a contenere l’esigenza di aree di sosta, a difendere l’aria dall’inquinamento. Questo per dire che l’utilità dei taxi può essere estesa ben al dilà di chi ha bisogno di servirsene. Ma le principali amministrazioni cittadine non sembrano avere idee al riguardo, e questa è la prima causa delle inefficienze – i taxi non si trovano quando servono -, dei costi elevati – e qui c’è poco da specificare -, della scarsa produttività sia del lavoro degli autisti che del capitale costituito dalle vetture – basta vedere quanti taxi si ammassano in certi parcheggi, in certe fasce orarie, in certi giorni -.
Equivoci, disfunzioni, diseconomie dipendono dal fatto che lo scopo del servizio è lasciato nel vago, non è specificata l’utilità privata e collettiva alla quale deve essere volto, e quindi rimangono indeterminate e comunque controvertibili tutte le questioni economiche connesse: come deve essere regolamentato il servizio, quanto deve costare, se lo deve pagare solo chi se ne serve o anche altri. L’interesse che le amministrazioni comunali si prefiggono di tutelare sembra essere solo quello minimo di assicurare una disponibilità di taxi a chi non dispone di un mezzo proprio; una disponibilità inadeguata e comunque opinabile in quanto calibrata su una esigenza media tra estremi molto divergenti, col risultato che i taxi scarseggiano nelle ore di punta o nei giorni di pioggia o nelle periferie, e sono fin troppi nelle ore morte, nelle belle giornate e soprattutto in centro. I costi sono conseguentemente elevati sia perché la produttività di uomini e mezzi è tagliata da consistenti tempi morti, sia perché la discontinuità della tipologia di domanda che viene considerata induce il sistema delle licenze ed il loro contenimento, dunque una limitazione amministrativa dell’offerta, quindi tariffe elevate (il solo fatto che le licenze hanno un mercato – si vendono e si affittano – già dimostra che gli utenti pagano non solo il costo del servizio, ma anche una posizione di rendita dei titolari).
La situazione non potrebbe essere peggiore non solo per la evidente inefficienza economica, ma anche per la conflittualità che ne consegue, endemica in un sistema nel quale, attraverso un duplice livello di determinazioni dirigiste – il numero delle licenze e le tariffe – le amministrazioni comunali di fatto decidono il reddito dei tassisti.
Anche senza immaginare una totale liberalizzazione del servizio, ci sono ampi margini per l’incremento della sua efficienza e per l’abbattimento dei costi. Basta guardare come stanno le cose nelle altre grandi città europee dove i taxi per abitante sono quattro (Londra) o anche cinque (Barcellona) volte quelli che ci sono da noi, dove prendere un taxi è molto più facile, costa molto meno, e dove ciò nondimeno non risulta che i tassisti facciano la fame. Detto in breve, in città come Londra o Barcellona i taxi, essendo più numerosi e più a buon mercato, costituiscono anche e soprattutto una alternativa, economica e funzionale, all’uso del mezzo privato. Per questo motivo, la domanda del servizio è molto maggiore e più variegata, più costante nel tempo e più distribuita nell’intera città, al punto che solitamente non ci sono punti di stazionamento o di raccolta. La produttività di uomini e mezzi è molto più elevata col risultato che a chi usa un taxi si fa pagare il suo percorso, e non anche il tempo in cui quel taxi è stato fermo, perché fermo quel taxi non ci sta quasi mai. Ne guadagna anche la qualità della vita e la vivibilità delle città dal momento che i mezzi complessivamente sulle strade si riducono e si riduce l’inquinamento. Il che consentirebbe di considerare l’opportunità di incentivare l’uso del taxi con un onere a carico della collettività. Se i taxi non vengono considerati strumenti da usare nel quadro di una vasta ed articolata politica della mobilità urbana, la contesa tra i tassisti e le amministrazioni cittadine non avrà mai fine, trovare un taxi quando serve sarà sempre difficile, e una volta trovato verrà sempre a costare più che altrove.

Fonte: «La Stampa» del 3 febbraio 2003

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