• venerdì , 27 Dicembre 2024

Una pacchia solare

Prima incentivi mostruosi, poi nulla. Sul fotovoltaico il governo sbanda. Proprio quando sarebbe necessario promuoverlo. Nel modo giusto II conto non sarà preciso al centesimo ma fa impressione: alla fine del 2010 erano stati incentivati 7 mila Megawatt di energia prodotta con il fotovoltaico per un totale di 70 miliardi di euro. E chi verserà questa somma, nell’arco di 20 anni, agli occhiuti e fortunati investitori? Chiunque paghi la bolletta della luce. Già perché questo strumento di politica industriale, anziché gravare sulla fiscalità generale (come sarebbe normale), finisce nella tariffa elettrica. Così facendo, si evita infatti uno spiacevole effetto collaterale: peggiorare le statistiche sulla pressione fiscale.
Come con il canone Rai o con le multe. Se ai 70 miliardi si aggiungono le somme necessarie a finanziare gli incentivi alle altre fonti rinnovabili si arriva a 100 miliardi. L’armamentario è infatti cresciuto a dismisura dal 1997 quando l’allora ministro Pier Luigi Bersani introdusse i “certificati verdi” per sostenere la diffusione delle fonti rinnovabili. Da allora è stata una nobile gara a chi elargiva più incentivi: il solare è pulito, è verde, sostituisce gas, petrolio, nucleare, crea occupazione diffusa, favorisce la ricerca. Insomma è il futuro. E così nessuno, tanto meno il centrosinistra, ha voluto fare la parte del micragnoso: meglio abbondare. Finché si è arrivati alla situazione descritta nelle illustrazioni in queste pagine: gli impianti domestici installati sul tetto come quelli fotovoltaici, o montati a terra su terreno agricolo producono rendimenti spaventosi. In una relazione sul mercato dell’energia elettrica del 3 febbraio scorso l’Autorità dell’energia scrive: «L’incentivazione del fotovoltaico in Italia è oggi una delle più profittevoli al mondo.. Ovviamente il “mercato” si è accorto in fretta che l’energia prodotta utilizzando i raggi del sole è un’occasione da non perdere. Ed è stato subito boom. Soprattutto quando si è cominciato a percepire che la festa stava per finire. E che il governo aveva inaspettatamente riaperto una finestra “utile” per ottenere il massimo dell’incentivazione con la legge salva-Alcoa dell’ottobre scorso. La situazione aggiornata è questa: alla fine di febbraio erano in esercizio 171.105 impianti per complessivi 3.797 Mw. Se riusciranno a entrare in funzione prima del prossimo 30 giugno altri 40.542 impianti, per complessivi 3.404 Impianto domestico da – pannelli solari parzialmente integrati nel tetto per MWh prodotto 572 euro per ogni MWh prodotto Totale ricavo *** PRODUZIONE DI PANNELLI SOLARI NELLO STABILIMENTO V-ENERGY DI BIELLA Mw, godranno delle agevolazioni. Il totale non dista molto da quegli 8 mila Mw che costituiscono l’obiettivo per il 2020 del fotovoltaico. Un altro dato la dice lunga: negli ultimi anni sono state presentate richieste per impianti da complessivi 150 mila Mw quando nei momenti di punta la domanda è di 50 mila Mw. Il business del fotovoltaico ha attirato tutti. Tema, la società che gestisce la rete elettrica, ha pensato bene di posare i pannelli fotovoltaici sui terreni sotto i pali dell’alta tensione. Poi ha rivenduto i suoi impianti e ci ha fatto sopra una ricca plusvalenza. Degli incentivi hanno approfittato tutti i grandi produttori di energia italiani, dall’Enel (che ha appena collocato sul mercato la sua Enel Green Power) all’Edison a Sorgenia. Ma a scoprire le meraviglie del fotovoltaico sono stati anche tanti piccoli investitori, italiani e stranieri, che hanno riempito soprattutto il Mezzogiorno di nuovi impianti. Le banche, sapendo che il “super-rendimento” era garantito dallo Stato, sia pure attraverso le bollette elettriche, li hanno finanziati abbondantemente. E, come sempre accade quando si guadagna tanto con il contributo di una Pubblica amministrazione, la malavita organizzata si è ritagliata la sua fetta sia operando in proprio sia agendo da mediatrice: per operare nel fotovoltaico posato a terra bisogna trattare con chi controlla il territorio. Tutto ciò con un contorno di abusi (impianti dichiarati e non realizzati) favorito dalla sostanziale assenza di controlli. • Produzione annua *** Economia Nei pannelli più made in Italy Anche se l’Industria italiana dei solare è nata solo nel 2008 – In netto ritardo rispetto al competitor Internazionali – quest’anno riuscirà a generare energia per almeno 7 miliardi dl euro. Con gli incentivi promessi dal governo la cifra potrebbe trasformarsi In un beem: solo grazie al contributi all’industria decisi dalla legge “Salva Alcoa” (l’impresa In crisi), il giro d’affari potrebbe arrivare a 22 miliardi. È quanto stima II “Solar Energy Report 2010”, che “l’Espresso” è in grado dl anticipare. Il rapporto, che sarà presentato il prossimo 7 aprile, è curato dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano ed è riconosciuto dagli operatori come il punto dl riferimento per Inquadrare Io stato dl salute del fotovoltalco Italiano. I dati sono Inequlvocabill: se nel 2008 le Imprese della filiera nostrana avevano prodotto complessivamente 340 megawatt dl energia, nel 2010 la potenza Installata ha superato 12,1 gtgawatt. Una crescita del 520 per cento In appena tre anni. Oggi l’industria che produce pannelli per II fotovottalco Include oltre 2 mila Imprese e circa 18mila addetti, e li numero di aziende è cresciuto del 7 per cento tra II 2009 e II 2010. Si va da colossi come la brianzola Enerpolnt che conta quasi 200 dipendenti e ricavi per oltre 235 milioni, a realtà più modeste come la milanese Solareltt: otto Impiegati e 4 milioni di fatturato nel 2009. 11 grosso dei produttori di pennelli si trova soprattutto in Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. •La filiera Italiana del fotovoltalco è fatta da Imprese piccole o piccolissime., spiega Valerio Natalizia, presidente del Gruppo Imprese Fotovoltalche italiane. ‘Sono tutti lavoratori giovani: l’età media è Inferiore ai 35 anni, la presenza femminile supera spesso la metà degli Impiegati, Il livello d’istruzione è motto atto.. Da notare, secondo II rapporto del Politecnico, che più sl va a monte lungo la filiera nostrana e più è Ingombrante la presenza straniera: produrre un pannello fotovoltalco non è ancora tutto made in ttaly. SI parte dalla lavorazione del silicio, operazione complessa per cui si devono possedere competenze e materie prime: il 94 per cento di questo settore è In mano straniera, soprattutto tedesca. Poi c’è la produzione di celle e moduli, la realizzazione di Inverter (trasformatori energetici) e quella di altri componenti, dove le Imprese estere In stalla pesano per oltre la metà del comparto. Solo nell’ultimo passaggio – la distribuzione e l’installazione di pannelli – nove Imprese su dieci sono nazionali. Quindi noi facciamo essenzialmente la commercializzazione e il montaggio. In generale, la rappresentanza di tutte le aziende esclusivamente italiane nella filiera è del 42 per cento. •Ma bisogna considerare che nel 2008 era solo del 28 per cento., spiega Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy & Strategy Group. •e poi, grazie agli incentivi statali che ora si rimettono In discussione, le pml possono raggiungere I’autosostentamento In appena sei anni, per poi camminare da sole. Una prospettiva che può essere compromessa se b governo ridurrà radicalmente II sostegno economico al settore-. Glanluca sognala La diffusione di produttori piccoli e medi che, attratti da tassi di rendimento interno dell’investimento dell’ordine del 13-16 per cento, si sono lanciati in questo business ha provocato la reazione del “sistema”. Oltretutto l’esplosione di queste produzioni decentrate (il solare ma anche l’eolico) ha creato degli inconvenienti tecnici di non poco conto. Per esempio, esistono dei “vincoli di rete”. L’energia prodotta dal sole e dal vento non è costante ma intermittente: aumenta quando il cielo è terso o il maestrale soffia più forte, e viceversa. Quando le condizioni sono favorevoli, la rete di Terna non è in grado di assorbire tutta la produzione (specialmente se è geograficamente concentrata) e la società è costretta a bloccarla. È un problema difficile da risolvere perché l’energia non si può immagazzinare: non esistono punti di accumulo. Qualcuno pensa che bisognerebbe realizzare altri sistemi di pompaggio nel Sud: utilizzare dei bacini idrici per mandare in su l’acqua quando l’energia immessa in rete è troppa e farla scendere (per riprodurre energia) quando ce n’è poca. Ma pare che sia un’impresa titanica ottenere la disponibilità degli oltre 150 bacini artificiali diffusi nel Sud: la burocrazia non fa sconti a nessuno. Il secondo problema riguarda gli allacciamenti: l’Enel e gli altri distributori di energia faticano a star dietro alle domande provenienti dai produttori di energia da fonti rinnovabili. Ma la situazione sta migliorando, grazie anche ai ripetuti interventi dell’Autorità dell’energia. Nel bel mezzo di questo boom il governo ha battuto un colpo, sollecitato dalla Confindustria e dall’Enel: «Attenzione, a questo ritmo la bolletta può schizzare di 34 miliardi, se sono veri i dati del Gse», si è sentito dire il ministro dello Sviluppo ecoofitiffilf.f,r’ • , • nomico Paolo Romani. Che non ha perso tempo: «Troppi incentivi, c’è chi se ne sta approfittando. E ha deciso, senza nemmeno consultarsi con la collega dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, di toglierli tutti, una volta che saranno entrati in funzione (entro il prossimo 31 maggio) gli impianti già autorizzati. Apriti cielo: nel giro di un decreto tutta la filiera produttiva italiana del fotovoltaico passava dal paradiso dei megaincentivi all’inferno della non convenienza dell’investimento. Produttori di pannelli e di impianti, importatori, installatori, gestori, sindacati, ambientalisti, politici meridionali hanno accusato il governo di mettere a rischio la sopravvivenza dell’intero settore. L’incidente nucleare in Giappone ha dato più forza alla lobby del sole. E il governo ha dovuto fare marcia indietro: venerdì 18 marzo in una riunione al ministero dello Sviluppo economico la presidente della Confindustria Emma Marce-gaglia ha presentato una proposta di mediazione che prevede la graduale decelerazione degli incentivi fino ad azzerarli nel 2017. Sulla proposta si è subito formato un ampio consenso tranne che su un punto: il tetto di 2 mila Mw annui installabili dal 2012 che le imprese della filiera del solare non vorrebbero. La stessa Marcegaglia ha tirato così un sospiro di sollievo perché la Confindustria in queste settimane ha fatto fatica a trovare un minimo comune denominatore agli estesi interessi che rappresenta: dai grandi produttori come l’Enel alle imprese della filiera del solare, dall’industria “energivora”, come quella della Marcegaglia, ai piccoli imprenditori che vogliono pagare meno l’energia, punto e basta. Ci sono stati momenti di tensione, con ripetute minacce di uscita dalla confederazione e pesanti accuse all’asse dominante Enel-Marcegaglia *** di badare soprattutto ai propri interessi. «C’è una guerra tra grandi e piccoli.,spiega Giuseppe Moro presidente di Convert Italia e componente del direttivo di Asso-solare, «i grandi del settore controllano i dati del Gse (la società del ministero che si occupa di energie rinnovabili, ndr.), dove lavorano tutti ex-Enel, e sperano di eliminare i piccoli spaventando le banche che li finanziano. Tanto loro i soldi li trovano lo stesso. Ma non si affonda una nave perché va troppo forte: decidiamo con calma quanto si può tagliare negli incentivi .. I più perfidi sostengono che l’Enel si è addirittura ritagliata un ulteriore spazio nella torta degli incentivi alle rinnovabili: per il rifacimento degli impianti idroelettrici che ha avuto in concessione per 30 anni (una delle contropartite ottenute in cambio delle La rete elettrica nei momenti di punta non assorbe tutta la produzione e non può accumulare quella in eccesso centrali cedute per avviare la liberalizzazione) si è portata a casa 300-400 milioni l’anno per 15 anni. Che gli incentivi per il fotovoltaico fossero troppo elevati lo si sapeva da tempo. Già tre anni fa l’Autorità dell’energia l’aveva detto: « Abbassate gli incentivi, non ha senso regalare soldi in questo modo». Il guasto che si stava producendo era evidente. Prima di tutto l’installazione accelerata dei pannelli sta determinando, in prospettiva, un ritardo tecnologico: se infatti l’obiettivo è di arrivare al 2020, come previsto dall’Unione europea, a un certo livello di produzione con fonti rinnovabili tra cui quella solare, “saturare” subito la propria capacità significa disporre, a regime, delle tecnologie meno avanzate. Meglio sarebbe quindi procedere con gradualità in modo da avere una parte del parco aggiornata e il resto che si aggiorna man mano che deve essere sostituito. Le celle solari oggi hanno un’efficienza media dei 12 per cento ma già IL MINISTRO PAOLO ROMANI. A SINISTRA: CENTRALE FOTOVOLTAICA A MONTALTO DI CASTRO se ne stanno sperimentando altre che arrivano al 25 per cento. L’altra obiezione è che, nonostante gli strepiti delle imprese italiane, il business produttivo dei pannelli solari è solo in parte modesta made in Italy (vedere box). Con qualche annodi tempo in più l’industria nazionale potrebbe attrezzarsi per competere più efficacemente. E lasciare più valore aggiunto in Italia. Calerà anche la bolletta? Dovrebbe. E ce ne sarebbe bisogno visto che gli incentivi per le fonti rinnovabili e assimilate si mangiano quasi l’8 per cento. Ma i precedenti non sono incoraggianti. Lo scorso anno il governo ha deciso di chiudere anticipatamente un meccanismo di incentivazione denominato Cip6 che risale al 1991. I risparmi ottenuti non sono andati, come sarebbe stato logico, ad alleviare le bollette ma a finanziare la riforma universitaria. • Impianto fotovoltaico a terra su terreno agricolo Produzione annua peregni MWh Ricavo energia venduta 426 euro per ogni MWh prodotto Totale ricavo

Fonte: Espresso del 31 marzo 2011

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