A Berlino un governo ancora non c’è, ma è come se già ci fosse.
A Roma un governo c’è, ma è come se non ci fosse.
Come mai la Germania non ha ancora un governo nonostante che i tedeschi siano andati alle urne il 22 settembre, oltre un mese fa? E perché nessuno si sta strappando le vesti, accusando i politici di essersi italianizzati? E ancora, perché a nessuno è passato per la testa di considerare la signora Merkel che ha partecipato in queste ore al vertice europeo come un leader dimezzato? No, per loro fortuna, Berlino non è Roma. Il nuovo esecutivo non cè ancora perché stanno facendo un lavoro serio di preparazione della nuova maggioranza di grosse koalition: Cdu-Csu e Spd si sono chiusi in una stanza e stanno negoziando non solo lagenda del governo, ma ogni singolo provvedimento che dovranno prendere insieme. Anzi, si dice che in taluni casi stiano addirittura predisponendo gli articolati di legge. Così, giusto per non ritrovarsi a litigare dopo. E lo fanno senza langoscia della fretta, tanto che si pronostica non prima di Natale il varo dellesecutivo.
Certo, si sa che cancelliere sarà ancora Angela Merkel, ma le nuove larghe intese che si vanno componendo vanno ben oltre i nomi, nascono attorno a un programma di sviluppo che somma lesigenza democristiana di continuare a tagliare la spesa pubblica che non funziona con quella socialdemocratica di spendere di più per il sostegno ai salari, anche introducendo quello minimo. La formula politica è vincente: usare il ritorno dellSpd per porre rimedio agli scompensi indotti dalle (giuste) riforme che Cdu-Csu fecero (tra laltro in continuità con il precedente governo di grande coalizione e ancor prima con quello guidato da Gerhard Schroeder). I termini dello scambio sono già delineati: i socialdemocratici concederebbero alla Merkel la rinuncia sia allintroduzione degli eurobonds sia a concessioni verso i paesi in crisi delleurozona (Francia di Hollande compresa), lasciandole viceversa mano libera nel proporre i cosiddetti contractual arrangements, cioè modifiche da apportare ai trattati europei che aggiungono vincoli ancora più stringenti ai parametri in vigore. Tutto questo a fronte di una politica economico e sociale interna che lSpd vuole di segno esattamente opposto. La logica è semplice: fare insieme ciò che è stato e sarebbe difficile ed elettoralmente scomodo fare separatamente.
Probabilmente ciò che ne scaturirà, se le premesse saranno confermate, a noi non potrà piacere, perché finirà con laumentare il distacco tra gli interessi tedeschi e quelli dei paesi dellEuropa meridionale, creando una frattura nelleurozona che potrebbe portare o a due euro diversi o al ritorno a ciascuna delle vecchie monete nazionali. Io stesso avevo auspicato, prima delle elezioni, che il risultato fosse tale da rendere inevitabile lintesa tra i due maggiori partiti tedeschi, nella speranza che lSpd, pur lontano parente del partito che fu di Brandt, Schmidt e dello stesso Schroeder, fosse in grado di pretendere se non un cambio di paradigma, almeno un ammorbidimento delle posizioni oltranziste della Merkel. Constatare, amaramente, che si rischia di andare in direzione opposta, non mi fa però cambiare giudizio sulla capacità dei tedeschi di fare le cose seriamente, specie se uso come pietra di paragone lItalia. Infatti, a Berlino il governo non cè ma è come se già ci fosse. A Roma, invece, il governo cè, ma a furia di temporeggiare di fronte ai problemi, sembra non esserci. (twitter @ecisnetto)
Una grande coalizione che funziona c’e’
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