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Una fiera del lavoro per la seconda generazione E’ il ponte verso l’Oriente

Guanxi cercasi Le imprese chiedono conoscenza del «guanxi», quel misto di scambio e cura delle relazioni che è il perno della società cinese.
L’appuntamento è per il 16 febbraio e vale la pena seguirlo non solo per mere questioni di affari e occupazione. Tra due settimane a Milano si terrà il First Italy China Career Day, la prima edizione di una sorta di fiera del lavoro che vedrà come protagonisti i giovani cinesi immigrati di seconda generazione in Italia. Ad incontrarsi con loro saranno i responsabili del personale di almeno dieci grandi aziende italiane, per ora del settore automotive e dell’ alimentare, alla ricerca di quadri qualificati di madrelingua cinese da inserire nei ranghi della propria azienda per sviluppare il commercio in Asia. Le imprese chiedono specifiche competenze linguistiche ma anche conoscenza dei diversi modelli di contrattazione, a cominciare ovviamente dal guanxi, quel misto di scambio e cura delle relazioni che è il perno intorno a cui gira la società cinese. L’ iniziativa è organizzata dalla Fondazione Italia-Cina in collaborazione con l’ Assolombarda ma soprattutto con Associna, il gruppo che si sforza di organizzare le attività della seconda generazione cinese e in qualche maniera di rappresentarne il punto di vista. Oltre a far incontrare domanda e offerta di lavoro, gli organizzatori hanno predisposto un programma che prevede approfondimenti di carattere sociologico e l’ intervento del presidente di Associna, Bai Junyi, affermatosi professionalmente proprio facendo a ritroso il percorso di Marco Polo. A quindici giorni dall’ evento sono già 60 i curriculum pervenuti agli organizzatori e a inviarli sono stati giovani cinesi che hanno frequentato con profitto l’ università in Italia, per lo più Bocconi e Politecnico. A loro le aziende italiane chiederanno di fare la spola tra Milano e la Cina, di diventare il ponte tra l’ Italia che produce e il mercato più promettente del mondo. Ma oltre a essere ambasciatori del dialogo tra due culture imprenditoriali, ai giovani cinesi è facile che finiremo, con il tempo, per chiedere qualcosa in più. Provare de facto ad aprire un vero canale di collegamento tra le comunità presenti in Italia (che per lo più provengono dalla provincia dello Zhejiang) e la nostra società civile. Chi frequenta i giovani cinesi che studiano in Italia ne parla in maniera entusiastica. In genere fino ai 18 anni tendono all’ assimilazione con i loro coetanei italiani, poi però cresce in loro la voglia di reimpadronirsi del retroterra storico e culturale della terra dei propri padri e magari di andare a lavorare a Pechino o Shanghai per le multinazionali occidentali. Capita anche che qualcuno di questi giovani si armi di santa pazienza e inizi a studiare per la prima volta il cinese a Milano presso istituti come la Fondazione Italia-Cina. Cercare di stabilire quanti siano in totale i cinesi immigrati di seconda generazione è difficile, a spanne si può stimare che siano all’ incirca un quarto dei 200 mila connazionali regolarmente registrati in Italia. Ma ovviamente quando si parla di numeri e immigrazione dal paese più popoloso del mondo è necessario un doppio caveat. È chiaro che i ragazzi cinesi rappresentano l’ anima aperta di una comunità di immigrati gelosissima delle proprie tradizioni e dei propri recinti. Non a caso le coppie miste di fidanzati italo-cinesi, che iniziano a sbocciare nelle nostre città dove è maggiore la presenza di cittadini asiatici, sono ancora fortemente avversate dalle famiglie di provenienza. Di sicuro comunque iniziative come il Career Day di Milano contribuiscono a svelenire il clima e a far intravedere il cambiamento. È infatti più che evidente come in Italia, per effetto soprattutto del caso Prato, la presenza dell’ immigrazione cinese sia un punto dolente. Non solo la querelle sul distretto tessile parallelo in provincia di Firenze non è avviata a soluzione, ma anche in altre regioni d’ Italia comincia ad esserci preoccupazione per l’ offensiva commerciale delle ditte cinesi e per l’ incremento abnorme dei laboratori clandestini. Le segnalazioni più ricorrenti vengono dalla zona di Carpi e da quella di Padova e non sempre l’ iniziativa delle autorità preposte alla repressione soddisfa le attese delle associazioni delle piccole imprese. Per cui è più che naturale guardare ai giovani cinesi con la speranza di poter scrivere, quantomeno, una pagina diversa dei rapporti italo-cinesi.

Fonte: Corriere della Sera del 2 febbraio 2011

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