DOPO un venerdì buio e un lunedì nero, la risposta politicaè stata pronta. La presidenza del Consiglio restando sede vacante, il Presidente della Repubblica ha indicato la strada: approvazione immediata e rafforzamento del provvedimento di finanza pubblica presentato dal Governo, con anticipo della cadenza temporale degli interventi correttivi. I partiti di opposizione, pur critici sul merito, hanno collaborato. L’ approvazione in cinque giorni del decreto ha arrestato la crisi. Ma la ferita di un deciso peggioramento rispetto a meno di due settimane fa non si rimargina: sui titoli di nuova emissione (martedì i Bot annuali, ieri Btp di varia durata) il tasso d’ interesse aumenta di un punto percentuale per le scadenze più brevi. Sul mercato secondario la differenza con i tassi tedeschi resta di circa tre punti. Nota Banca d’ Italia che un aumento persistente di rendimenti di un punto percentuale provoca un aumento della spesa per interessi di mezzo punto in tre anni: bisogna correre di più – pagare più tasse, ridurre più spese – solo per restare allo stesso posto. Perché persiste questo scalino, prodottosi in pochi giorni? Il debito era e resta alto; ma oggi e in prospettiva, soprattutto dopo il decreto, abbiamo saldi di bilancio, al lordo e al netto degli interessi, fra i migliori in Europa. Lo stato confusionale e litigioso della maggioranza aveva contribuito a innescare la crisi; ma la temporanea abdicazione del Presidente del Consiglio ne ha alla fine ridotto i danni. In verità, fatta ogni ammenda per le nostre colpe, noi subiamo anche le conseguenze di un peggioramento ambientale, dovuto all’ incapacità delle istituzioni europee, se tali si possono chiamare, di gestire questa situazione. La crisi finanziaria ha svelato le contraddizioni insite nell’ unione monetaria. Gli squilibri accumulatisi a motivo dell’ eccesso di credito a basso costo hanno dato luogo in alcuni paesi a crisi di debito pubblico, a cui non poteva fare argine la rete di protezione tesa da una propria banca centrale e che non poteva trovare sfogo in una svalutazione (come in Italia nei primi anni Novanta). Dopo mille esitazioni si misero su meccanismi di sostegno finanziario; ma, dopo un anno e più, non si è riusciti a elaborare una strategia chiara e condivisa, nei confronti della Grecia e del più generale problema della vulnerabilità di altri paesi dell’ area; peggio, pareri divergenti e mutevoli sono pubblicamente esposti in dispute fra governanti e fra governi e Banca centrale europea. Come anche ricorda lucidamente Guido Tabellini sul Sole 24Ore, l’ Eurogruppo dovrebbe anzitutto decidere se sia mai possibile che la Grecia torni a camminare con le proprie gambe senza prima ridurre il peso del debito. Se sì, il periodo di aggiustamento deve essere lungo e il costo del sostegno ragionevole. Se no, come pare probabile, bisogna organizzare un’ operazione di riduzione di valore del debito a carico dei creditori, limitando l’ aiuto finanziario a quello sufficiente alla sopravvivenza per qualche anno senza dover ricorrere al mercato. Le discussioni fra governo tedesco e Bce sul coinvolgimento del settore privato somigliano a quelle sul sesso degli angeli. Ma un evento di insolvenza della Grecia più che conseguenze sistemiche, potrebbe provocare fenomeni di contagio: liquidata la pratica greca, vi è il rischio che il mercato, nell’ aspettativa di un effetto domino, aggredisca in successione altri paesi anche se in posizione intrinsecamente solida; l’ aumento del costo del finanziamento farebbe realizzare l’ aspettativa. Considerando che la stessa sopravvivenza dell’ euro sarebbe messa a rischio da una crisi da debito di un grande paese (Spagna, Italia), sarebbe saggio predisporre, per i paesi che la meritano, una protezione solida ed efficace. Tale sarebbe una garanzia pubblica di sostegno senza limiti: se i mercati la ritengono credibile, non costerebbe nulla perché non dovrebbe mai essere esercitata. Ma a Bruxelles e a Berlino si rinvia ogni decisione. A giudicare dalle loro esternazioni pare quasi che questi politici dell’ Eurogruppo, questi banchieri centrali della Bce siano impegnati in un seminario accademico: con maggiore verbosità, con pari inconcludenza, con minore supporto di analisi e di conoscenza storica. Si legga un qualsiasi resoconto della diplomazia economica internazionale nel periodo fra l’ inizio degli anni Venti dello scorso secolo e la depressione degli anni Trenta. Non si è imparato nulla?
Fonte: Repubblica del 16 luglio 2011Una diga per l’euro
Luglio 16th, 2011
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L'autore: Luigi Spaventa - socio alla memoria
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