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Una credibilità da salvare

Appare sempre più evidente che negli anni scorsi la Banca d’Italia ha sottovalutato alcuni aspetti della tutela del risparmio che avrebbero meritato maggiore attenzione e polso fermo nel richiamare diversi istituti bancari ad un comportamento più trasparente nei rapporti con la clientela. L’iscrizione del Governatore Antonio Fazio nel registro degli indagati della procura di Trani suscita però forte inquietudine, non certo la sensazione dell’inizio di un processo – doloroso ma necessario – di correzione di una serie di patologie che stanno infettando una parte significativa, anche se minoritaria, del sistema finanziario.

In un passato ormai lontano la Banca centrale ha subito attacchi alla sua autonomia a sfondo politico, esercitati anche attraverso iniziative giudiziarie. Si arrivò al punto di decapitare l’Istituto. Nessuno può pensare che le stimmate di quella stagione oscura abbiano procurato alla Banca d’Italia una qualche forma di immunità. Non lo pensa nemmeno l’Istituto che ieri ha manifestato fiducia nei giudici, accogliendo la spiegazione dell’avviso come «atto dovuto» fornito dagli stessi magistrati inquirenti. E tuttavia lascia perplessi il modo in cui si è verificato il salto di qualità di un’indagine che va avanti da molto tempo.

È vero che l’iniziativa dei magistrati nasce da esposti recenti di due risparmiatori che solo qualche settimana fa si sono resi conto dei gravi danni subiti in seguito agli investimenti che erano stati indotti a sottoscrivere nel 1999 dall’allora Banca 121. Ma è anche vero che la decisione di indagare la più alta autorità indipendente del nostro sistema economico e la gestione del caso dovrebbero essere caratterizzate da grande cautela e discrezione. Invece i magistrati hanno fatto trapelare la notizia quasi con nonchalance , hanno parlato di «atto dovuto» ma non hanno spiegato perché si indagherà non per omessa vigilanza ma per un reato ben più grave (e infamante), il «favoreggiamento reale in truffa aggravata». Né è chiaro perché la conferma sia venuta non dal destinatario dell’avviso (Fazio è stato informato dalle agenzie di stampa) ma, irritualmente, dall’avvocato Scamarcio, che nei giorni scorsi aveva presentato una raffica di esposti. Nei quali il medesimo avvocato ha accusato Fazio di non aver mosso un dito sul caso della Banca 121 e dei fondi «My way» e «4 you» anche dopo che, nel maggio del 2003, il ministro Tremonti lo aveva invitato ad attivarsi su questo fronte. Un’accusa che non tiene conto dell’attività ispettiva svolta dalla Banca d’Italia nel 2002 e di cui lo stesso Fazio aveva informato Tremonti, sempre nel maggio scorso, in una lettera di risposta i cui contenuti sono pubblici da tempo.

Ritrovarsi con la Banca d’Italia indagata nel bel mezzo della peggior bufera finanziaria degli ultimi decenni non è certo positivo. Non lo è per la nostra vacillante credibilità internazionale, né per il processo di riforma del sistema finanziario che sta per essere esaminato dal Parlamento: servirebbe più serenità e invece deputati e senatori rischiano di lavorare in un clima sempre più surriscaldato. Probabilmente alla fine l’Istituto di via Nazionale riuscirà a dimostrare di non aver violato le leggi, ma difficilmente si sottrarrà all’accusa politica di aver ignorato (o assecondato) errori e taluni eccessi di una parte del sistema bancario. Speriamo che, almeno sul piano giudiziario, sia fatta chiarezza quanto prima.

Fonte: Il Corriere della Sera del 25 febbraio 2004

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