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Una “congiura” per salvare le finanze del nostro paese

Si celebra oggi presso la sede dell’Abi a Palazzo Altieri, con un convegno organizzato dall’Arel e dedicato a «L’autonomia della politica monetaria», il trentennale di quello che Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro del governo Spadolini, definì una volta il «frutto di una congiura aperta fra ministro e governatore» dell’epoca. La decisione, assunta nel 1981, di celebrare un consensuale divorzio fra la Banca d’Italia di Carlo Azeglio Ciampi e il Tesoro nel collocamento dei titoli del debito pubblico, con ciò sciogliendo il matrimonio poco felice contratto nel 1975, in base al quale Bankitalia risultava “acquirente residuale” di tutti i titoli di stato emessi, passò infatti per uno scambio di lettere, non per un’approvazione formale da parte del Comitato interministeriale per il credito, struttura nella quale sedevano anche altri ministri. C’era una svolta, un salto culturale da compiere, al quale non tutti erano pronti, venendo da un’epoca in cui ci si era assuefatti a tassi d’interesse reali negativi e a una crescita sostenuta dal cambio debole. Nel contesto tellurico della fine degli anni 70 con un’inflazione arrivata fino al 21%, la Banca d’Italia scelse di puntare su un uso più attivo e autonomo dei suoi strumenti monetari (tasso d’interesse a breve e creazione di base monetaria) e trovò un validissimo interlocutore in Beniamino Andreatta. In quegli anni, del resto, l’intera politica monetaria fece una curva a U: l’aumento complessivo del tasso di sconto fra il ’79 e l’81 fu di 8 punti percentuali, raggiungendo il picco del 19%, e il vincolo di cambio fu progressivamente irrigidito. Ma la febbre alta dell’inflazione alla fine fu debellata e, dal picco del 21%, nel 1987 si tornò sotto il 5 per cento. Cosa insegna oggi quella storia di successo? Per saperlo occorrerà ascoltare la relazione al convegno del governatore Mario Draghi, candidato italiano alla guida della Banca centrale europea.

Fonte: Sole 24 Ore del 15 febbraio 2011

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