• sabato , 23 Novembre 2024

Un “segnale forte” per l’Europa

Un segnale forte, così Angela Merkel ha qualificato il verdetto di Karlsruhe. E’ l’omaggio riconoscente alla Corte per lo scampato pericolo? E’ un apprezzamento per tener buoni quanti, all’interno della maggioranza, la accusano di lassismo? O è un commento equilibrato, che solo a confronto con gli entusiasmi con cui il verdetto è stato da noi accolto appare degno di nota?
Non ci sono state decisioni clamorose, le novità sono gli approfondimenti e le aggiunte rispetto a principi già noti: e nel fatto che puntano tutte nella stessa direzione, aumentare il potere di controllo democratico, del parlamento e della corte stessa. Così la corte ribadisce il limite superiore degli impegni che il governo può assumere senza un voto esplicito del parlamento, ma aggiunge la richiesta che questo obbligo sia sancito contrattualmente; questo nonostante le maggioranze richieste diano già di fatto alla Germania un potere di veto. Una non piccola complicazione, per il governo: infatti se in occasione di un rifinanziamento sorgessero discussioni su chi deve accollarsi gli ulteriori impegni, e si andasse alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, potrebbe non bastare un semplice protocollo aggiuntivo; Berlino dovrà quindi richiedere un accordo esplicito di tutti gli altri paesi, e se qualcuno glielo negasse lo metterebbe in forte imbarazzo,: perché così avrebbe ragione chi non credeva alle assicurazioni del governo, quando giurava che il limite di impegno economico era blindato.
Anche nel ribadire il divieto per la BCE di finanziare il debito degli stati, la corte aggiunge la non banale puntualizzazione che l’ESM non può diventare il veicolo per finanziare gli Stati riciclando alla banca di emissione i titoli acquistati. E riguardo all’altro intervento, quello della BCE sul mercato secondario, ribadisce puntigliosamente che finanziare i bilanci degli stati membri evitando di ricorrere al mercato dei capitali è aggiramento del divieto del loro finanziamento monetario, e quindi vietato. Un ammonimento apparentemente superfluo, volutamente vago, il cui scopo sembra essere quello di lasciare spazio, se necessario, ad ulteriori interventi.
E’ dall’insieme che deriva il vero segnale forte, sia dai dettagli del verdetto sia dal modo come è stata condotta l’intera vicenda: il segno complessivo è un solenne richiamo al principio che l’Unione Europea si basa sul diritto. Proprio perché sta scritto nella costituzione che la Germania fa parte dell’Europa, infrangere una norma di diritto europeo equivale ad infrangere la Costituzione tedesca. Se ci fosse il dubbio che la BCE non rispetta i limiti precisati dalla Corte di Karlsruhe, rileva Joachim Jahn sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, i rappresentanti tedeschi nelle riunioni degli organismi comunitari dovrebbero o seguire la politica della sedia vuota, oppure portare la BCE davanti alla Corte di Giustizia del Lussemburgo: perché Francoforte è indipendente da tutto, ma non dalla legge. L’essersi presi un tempo lungo per deliberare, incuranti dell’ansia dei governi e degli scenari da incubo che venivano prospettati, l’avere suscitato un’attenzione così concentrata su questa data e su questo verdetto, anche la simbologia di quelle tocche e tocchi rossi, hanno ricordato a tutti che l’Europa è un’unione di diritto o non é. Che l’unione monetaria nasce a Maastricht come insieme di norme di diritto, con impegni espressi non in nobili aspirazioni, ma da numeri precisi; non come mistica comunione di averi e di debiti, ma sul principio che ogni stato è responsabile del propri bilanci, dei propri debiti e per le proprie entrate. Se non fosse stato così, non ci sarebbe stato l’euro, non la BCE, perché i tedeschi non l’avrebbero mai firmato. E se qualcuno se ne dimenticasse, c’è la Corte a ricordarglielo.
Senza annunciare nulla di sorprendente, la Corte è riuscita a mettere le cose nel giusto ordine di priorità: l’unione di diritto e l’unione monetaria, l’invarianza dei dettati costituzionali e la temporaneità degli interventi specifici, le leggi e le manovre, l’immutabilità dei diritti patrimoniali e la variabilità quotidiana del prezzo del rischio. Un ordine rispetto al quale l’acquisto illimitato di titoli è uno strumento ingegnoso volto a uno scopo limitato, che mira a ridurre il costo del debito: ma che non fa nulla per ridurre il debito stesso. Questo, semmai, nel grande consolidato dell’euro, rischia di aumentare anziché di diminuire. Le garanzie possono spostare i rischi, ma alla fine restano le scritture, e per ridurre i debiti che vi sono registrati, ci sono solo due soluzioni: o l’inflazione o la ristrutturazione. Sulla prima tutti si strappano le vesti e giurano che inflazione mai e poi mai. Ci crederanno i mercati? Penseranno che alla fine si arriverà alla seconda? Da questo dipendono tante cose, il risultato dell’operazione annunciata dalla BCE, e delle tante discussioni che intorno ad essa si sono fatte. E forse ancora si faranno: c’è sempre un giudice a Karlsruhe.

Fonte: Sole 24 Ore del 16 settembre 2012

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