Cresce in Italia il partito del referendum per l’uscita dall’euro. Secondo alcuni le stesse elezioni europee si tramuteranno in un’occasione referendaria sulla moneta unica. Le forze politicamente già si individuano: sono quelle che fanno capo alla destra berlusconiana, alla Lega ed ai grillini.
Abbiamo già scritto su questa rubrica dei costi di una simile operazione. Trionferannoe si arricchiranno solo gli avvocati, coinvolti a tempo pieno nella risoluzione di infinite dispute contrattuali che verrebbero a generarsi all’interno di ogni paese e tra paesi. Rischiosissima si farà la già fragile condizione dei sistemi bancari. Ancor più dei costi economici ci paiono evidenti quelli politici: un’interruzione della costruzione di una casa europea – in un mondo dominato da una crescente interazione tra Asia ed America- non può che vederci relegati ad un ruolo marginale. Però, oltre al referendum sul No all’euro, comincia a profilarsi l’ipotesi di un’operazione, più complessa e sostanzialmente positiva, configurata per contro in un Sì all’euro, Sì all’Europa, Sì alla sostenibilità del debito pubblico italiano, ma un sonoro No al cosiddetto Fiscal Compact che, se nulla cambierà, influenzerà dal 2015 profondamente la vita sociale ed economica di tuttii cittadini europei.
L’accordo del Fiscal Compact, un regolamento europeo, dal cui recepimento si sono sfilate Gran Bretagna e Repubblica ceca, consta di due passaggi decisivi per la politica economica di un Paese membro. Primo, prevede l’inserimento negli ordinamenti pubblici della clausola dell’obbligo del pareggio di bilancio (entrate totali e spese totali della Pubblica Amministrazione devono coincidere), che l’Italia ha inserito in Costituzione, pur senza esservi obbligata.
Secondo, chiede ai singoli paesi europei di perseguire nel ventennio tra il 2015 ed il 2035 una riduzione del debito pubblico in eccesso rispetto alla soglia del 60% del Prodotto Interno Lordo al ritmo di 1/20 l’anno. Siccome il debito italiano è oggi al di sopra del 120% del Prodotto interno lordo, il taglio significherebbe una riduzione annua del debito pubblico italiano inizialmente del 3,5% di Pil (più di 50 miliardi di euro) e poi di 1,3% (20 miliardi del Pil attuale) verso il 2035. Somme enormi, dunque, che, anche a voler privatizzare tuttii nostri gioielli di Statoei nostri cespiti immobiliari, ci lascerebbero ben presto come unica opzione quella di ridurre profondamente la spesa pubblica italiana e di aumentare fortemente la tassazione su cittadini ed imprese.
Un rischio pesantissimo di aggravamento dell’attuale crisi economica che in ultima analisi farebbe saltare la stessa stabilità dei conti pubblici. L’esperienza storica mostra come questi tipi di riduzione drastica sono fattibili in “ventenni” di buona crescita (come alla fine del XIX° secolo), ma sono meramente utopistici in fasi di crisi economica (comeè statoa cavallo tra questi ultimi due secoli, quando la discesa dei debiti si è interrotta bruscamente a causa della crisi finanziaria del 2008).
Immaginate di volare su un aereo il cui pilota è svenuto e rimane solo quello automatico, ma di fronte stavolta c’è una montagna.
Come uscire da questa situazione? Certamente con due mosse: la rimozione del pilota automatico e successivamente l’affidamento della guida ad un pilota individualmente responsabile.
È la filosofia che ispira la proposta di un nuovo gruppo di giovani e meno giovani economisti e studiosi auto denominatisi “Viaggiatori in Movimento”, che propongono, appunto, un referendum contro il Fiscal Compact ma per salvare l’euroe l’aereo europeo.
Consci che solo dalla crescita si può generare stabilità dei conti pubblici, già duecento Viaggiatori si sono imbarcati sul treno di questo referendum e stanno valutando anche con svariati giuristi la fattibilità di questa scommessa.
Non si può non valutare con favore un’impresa di questo tipo che sembra ispirarsi alle prime iniziative di stampo spinelliano, quando una piccola minoranza sapeva dar vocea esigenze di primo piano.
Un referendum per salvare l’euro
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