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Un po’di orgoglio per Alitalia

All’accordo non c’è alternativa. Il copyright di quest’espressione è di un leader sindacale e il merito va sottoscritto. Il negoziato tra le organizzazioni sindacali e l’Alitalia si presenta tutto in salita. I tagli occupazionali sono consistenti, la revisione di parte dei diritti acquisiti è significativa, la tradizione è fatta di privilegi accumulati per anni ed anni e cambiare drasticamente registro non è facile. Eppure non c’è alternativa. Finora chi governa le centrali sindacali ha dimostrato responsabilità, i profeti di sventura che scommettevano su clamorose proteste sono stati smentiti. Cgil-Cisl-Uil hanno tenuto i nervi saldi. Ma siamo solo al prologo. Il piano presentato dall’amministratore delegato Cimoli non ha ancora avuto il via libera sindacale.

E’ vero che l’Alitalia fa caso a sé e sarebbe un errore elevarla a paradigma del declino italiano, ma è anche vero che se i sindacati vogliono fermare la retrocessione del Paese non possono limitarsi a confezionare libri bianchi sulla deindustrializzazione. Un grande accordo per salvare la compagnia di bandiera rappresenterebbe un ottimo punto di partenza per discutere, poi, con piena legittimità sulle scelte da compiere per ridare competitività al sistema. E «raffreddare» l’autunno. Gli esperti di relazioni industriali ricordano come già una volta l’Alitalia sia stata terreno di sperimentazione, sei anni fa fu raggiunta un’intesa che in cambio di una limatura del costo del lavoro portò tre sindacalisti nel consiglio di amministrazione. Quell’intesa non ha funzionato perché si basava su uno scambio di potere (meno salari, più influenza a Cgil-Cisl-Uil) mentre se c’è un’azienda che ha bisogno di ridurre la propria dipendenza dai giochi politici è proprio l’Alitalia. Non è un caso che negli anni di ciclo elettorale i dipendenti della compagnia siano aumentati. Anche negli ultimissimi anni quando la crisi in cui si dibatteva la società era già davanti agli occhi di tutti.

Guai dunque, come è stato detto, «a salvare il soldato Alitalia a tutti i costi». L’accordo sugli esuberi e la riorganizzazione deve essere una premessa seguita da comportamenti coerenti e ispirati a una logica di mercato. Il prestito del Tesoro non può essere dilapidato, va messo al servizio di un valido piano industriale. La compagnia oggi è troppo piccola per essere un protagonista dei cieli, ma al tempo stesso è troppo grande ed inefficiente per essere una aerolinea mignon. Abituata a lucrare sul monopolio della tratta Milano-Roma l’Alitalia ha sottovalutato le tratte intercontinentali e oggi è costretta a tentare un disperato recupero su destinazioni come Shanghai, Rio de Janeiro e Hong Kong. Ma la strada è quella giusta.

Così come è corretto esperire tutti i tentativi per risanare la compagnia. Un’Alitalia inefficiente non ha certo aiutato l’economia del Paese. Non comprando aerei e non operando la scelta strategica tra Boeing e Airbus si è danneggiata l’industria aeronautica. In campo turistico, poi, abituati a vivere di rendita abbiamo perso consistenti quote di mercato. Anche senza un’aviolinea tricolore gli stranieri continueranno a visitare le città d’arte ma la nostra offerta turistica è ben più larga delle sole Roma o Venezia. E’ interesse quindi del sistema Italia avere una compagnia di bandiera. L’economia sarà pure globalizzata ma il peso – e l’orgoglio – di un Paese si misurano ancora così.

Fonte: Il Corriere della Sera del 9 settembre 2004

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