Nei primi giorni di settembre, al rientro dalle vacanze, fui molto tentato di scrivere qualcosa sull’estate 2013 vista come «la migliore estate degli ultimi anni», tante erano le sensazioni positive che con colleghi e amici avevamo raccolto in vari angoli del Paese. Rimossi prudentemente quella tentazione: per il timore di apparire provocatorio rispetto al catastrofismo imperante negli ultimi mesi e anni; ma anche per il timore che quel tono leggero («la migliore estate…») avrebbe potuto cozzare con il dramma di lavoratori che, rientrando dalle ferie, magari non avrebbero più trovato la propria azienda. Restai allora in appartato silenzio, sperando che il tempo chiarisse almeno la direzione, in meglio o in peggio, delle nostre travagliate vicende.
Comincio a rimpiangere quel silenzio, perché una pur imperfetta provocazione sarebbe stata utile per innescare da un lato una seria discussione di scenario e dall’altro un serio confronto con i potenziali soggetti della dinamica socioeconomica prossima ventura. Mi colpisce anzitutto che per la prima volta da anni l’autunno non abbia prodotto scenari di medio periodo, volti a capire e far capire dove siamo e dove andiamo. Dai resoconti dei tanti convegni, seminari e workshop (e dall’opinionismo a essi correlato) non si trova infatti molto di utile, in termini sia di valutazione congiunturale sia di previsione a medio termine. Tutti abbiamo letto quel che si è detto a Cernobbio; tutti abbiamo letto il programmatico comunicato congiunto di Confindustria e sindacati confederali; tutti abbiamo letto le dichiarazioni «veleggianti» del presidente Squinzi e del ministro Saccomanni; tutti abbiamo letto grandi e medi commentatori e opinionisti; ma l’incertezza sul futuro resta quella di prima, con l’effetto di una politica del navigare a vista molto problematica e zavorrata dal pessimismo indotto da mesi di tragici bollettini di crisi (meno reddito, meno occupazione, meno consumi, meno imprese, eccetera).
Fare ripresa e sviluppo senza uno scenario di riferimento diventa allora un compito difficile, anche perché non c’è stata in questo ultimo mese una chiamata in causa, un confronto, un coinvolgimento dei potenziali soggetti della attesa ripresa e dell’auspicato sviluppo. La navigazione a vista non prevede un ruolo delle grandi rappresentanze di interesse e dei rapporti relazionali su cui si basa il sistema, cosicché il massimo di coinvolgimento finisce per ridursi alla solitaria diramazione di comunicati su singoli temi, certo importanti (dall’aumento dell’Iva al taglio delle risorse ai Comuni) ma difficili da inserire in un discorso più vasto. Senza uno scenario di riferimento e senza un ampio coinvolgimento soggettuale l’autunno che comincia è destinato fatalmente all’incertezza, segnati come siamo da un lato dal permanere di una estiva soddisfazione di cose andate meglio del previsto; e dall’altro dalla impotenza di costruire un disegno, un processo, un programma minimamente partecipati.
Occorre far ripartire un dibattito approfondito, volto a capire e gestire i processi e i soggetti vitali che ci sono nel Paese (fra i giovani, le donne, i lavoratori stranieri, eccetera) e che per ora nessuno vede. Il settembre 2013 sarebbe stato al riguardo un’occasione buona ma non l’abbiamo colta; altrettanto buona, e da cogliere, potrebbe essere l’autunno che si apre nelle prossime settimane, fra grandi decisioni nazionali e grandi responsabilità di gestione del semestre Ue. Vale la pena tentare se vogliamo evitare che alla «migliore estate» succeda il peggiore autunno degli ultimi anni.
Un autunno da decifrare
Commenti disabilitati.