di Fabrizio Onida
Un anno fa faceva qualche rumore la decisione dell’Antitrust europeo (commissaria la danese Margrethe Vestager) di bocciare il progetto di fusione della francese Alstom con la divisione ferroviaria della tedesca Siemens, un’operazione ritenuta a rischio di concentrazione monopolistica sul mercato europeo dell’alta velocità ferroviaria, ancora non aperto ad una effettiva concorrenza esterna. Diversi osservatori, tra cui chi scrive, osservarono che la logica giuridico-economica della DG Concorrenza della UE a difesa del consumatore-utilizzatore era ancora eccessivamente statica, non riuscendo a cogliere la rapidità con cui il contesto del mercato globale andava cambiando, in particolare la necessità di rafforzare per tempo il vantaggio competitivo dell’industria europea a fronte dell’impressionante avanzata dei concorrenti e in particolare dell’industria (di Stato) cinese CRRC.
A livello mondiale oggi sono operativi 46mila chilometri di linee AV, di cui 31mila nella sola Cina, e altri 12mila sono già oggi in fase di costruzione. Entro il 2030 sono in programma altri 60mila chilometri di AV nel mondo.
Dopo meno di un anno dalla fallita fusione franco-tedesca, il 17 febbraio scorso Alstom ha lanciato un’offerta sul 100% della canadese Bombardier Transportation, divisione del grande gruppo aeronautico canadese, con un’operazione mista di cassa e scambio azionario valutata intorno a 6 miliardi di euro. In cambio della cessione ad Alstom, l’azionista controllante pubblico canadese (Caisse Dépôt et Placement Quebec, simile alla nostra CDP) riceverebbe una quota del 18% nel capitale del nuovo gruppo franco-canadese, diventandone un importante azionista “di lungo termine”. La motivazione esplicita di questa nuova mossa strategica di Alstom è unire le forze per diventare il secondo gruppo a mondo nei treni, con un fatturato complessivo superiore a 15 miliardi di euro, non lontano dagli attuali 21 miliardi della cinese CRRC.
L’Antitrust europeo si riserva di approvare l’operazione, anche alla luce delle (ancora nascenti) regole d’ingresso europee sugli investimenti diretti da parte di gruppi non europei: argomento su cui ci sarà modo di occuparci in altre occasioni.
Se come probabile l’operazione andrà in porto, possiamo cogliere almeno due aspetti interessanti per il dibattito sull’intreccio fra difesa della concorrenza e politica industriale europea.
In primo luogo, un mancata fusione fra due gruppi a capitale europeo può spostare la posta in gioco verso un orizzonte strategico in cui permane la concorrenza anche aspra tra i due incumbents, ma uno dei due allarga i propri confini verso altre combinazioni virtuose di tecnologia e forza di mercato con partners non europei, sempre rivolte a conquistare e difendere importanti quote di mercato mondiale. In tal caso si potrebbe dire che l’interpretazione rigorosa delle regole antitrust europee, allontanando il rischio di una concentrazione monopolistica troppo forte sul “ristretto” mercato domestico europeo, ha aperto la strada verso una crescita multinazionale di un “campione europeo” che ne rafforza la crescita potenziale come concorrente globale.
Si noti per inciso che Alstom ha già oggi una rete di vendita in 60 paesi e siti produttivi in 8 paesi (Francia, Italia, Polonia, USA, Canada, Austria, Brasile, India), mentre Bombardier ha siti produttivi in USA, Messico, Brasile, Australia, Regno Unito, Polonia, Germania, e anche (interessante!) in Cina.
In secondo luogo si conferma che, nel valutare potenzialità e rischi di progettate concentrazioni industriali, specialmente in presenza di aiuti di Stato a qualche soggetto industriale privato, la Commissione UE dovrebbe sempre più accompagnare il calcolo delle quote di mercato sul “mercato rilevante”, definito con dati storici in chiave statica esclusivamente europea, con attente realistiche simulazioni sulle trasformazioni in corso sui mercati globali. La rapidissima evoluzione delle “tecnologie chiave abilitanti” (dominate sempre più dal digitale), combinata con l’avvicendarsi sullo scenario politico mondiale di governi in diverso modo e grado “sovranisti”, impone ai governi di continuare a re-inventare il ruolo dello Stato e dei governi locali come stimolatori-catalizzatori-partners del settore privato nel produrre i “beni pubblici” di cui necessitano le vere “economie sociali di mercato”, pur continuando a battersi per la libertà dei mercati e un autentico spirito capitalistico. Resta fermo che, in nome dell’antico principio secondo cui a N obiettivi di politica economica è bene che corrispondano N strumenti di intervento pubblico, non è compito proprio della DG Concorrenza farsi carico della (importante) politica europea per l’innovazione e la competitività internazionale delle imprese a controllo di capitale europeo.
Ma la difesa strenua della concorrenza nell’interesse della domanda dei consumatori-utilizzatori di oggi non è incompatibile con la promozione degli investimenti, del capitale umano e della competitività internazionale dell’offerta europea a vantaggio dei cittadini-consumatori di domani.
Fonte: dal Sole 24Ore, 25 febbraio 2020