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Un addio al modello sociale europeo

Caro Direttore, «Non ci sono dubbi: la maglia delle regole che pesa sull’ economia e la soffoca è ormai divenuta tanto soffocante da creare un nuovo Medioevo. Una cosa che vorrei fare è una norma rivoluzionaria per cui tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale o europea: una norma rivoluzionaria, per due o tre anni. E io, oltre a proporla, vorrei essere tra i firmatari». Parole di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia in carica, dette concludendo l’ estesa intervista ad Aldo Cazzullo (Corriere di lunedì 31 maggio) su una legge importante e difficile, per la quale ha dovuto impegnare tutta la sua credibilità, superando tensioni con i colleghi e col premier.
Parole quindi da prendere sul serio, e da annotare a futura memoria. Per il contesto, sono una sorta di nota di accompagnamento o di interpretazione autentica della legge; per il contenuto, sono un vero e proprio manifesto politico che va oltre la contingenza della crisi. «Lo Stato criminogeno», a cui Tremonti lo ricollega, è del 1997, dieci anni prima del fallimento di Lehman; la maglia delle regole, il nodo di Gordio da tagliare, è cresciuta a dismisura «negli ultimi tre decenni», dunque ben prima dell’ entrata della Cina nel Wto, data da cui si fa partire la nuova globalizzazione. Un programma politico che trascende i vincoli di solidarietà europea e di contenimento del deficit e di rientro dal debito, che sono gli obiettivi della manovra. Con esso, Tremonti scavalca le critiche di continuare nella linea attendista, di mirare a contenere le conseguenze della crisi, riservando poco o nulla a promuovere la crescita. Critiche esplicite nel discorso di Emma Marcegaglia, che Berlusconi aveva poco gradito, al punto da spingersi a cercare l’ azzardo del coup de théâtre; critiche implicite nelle considerazioni finali di Mario Draghi, là dove si enumerano le cifre della mancata crescita e della perdita di competitività dell’ ultimo decennio. Alla luce di quel finale, il «tornante della storia» da cui Tremonti prende le mosse per il suo ragionamento, non è (solo) l’ irrompere della globalizzazione, la crisi da superare, le regole da adottare, la morale da recuperare: il tornante è il modello sociale ed economico europeo, di alte tasse e protezione fornita dallo stato, che non regge più.
È riduttivo, è quasi contraddittorio proporre stabilità, quando si tratta di trovare una nuova spinta. L’ euro è stato il tentativo di prolungare la vita di quel modello, ha consentito per alcuni anni a una larga parte d’ Europa di vivere al di sopra dei propri mezzi. Tentativi sono stati anche le liberalizzazioni del centro sinistra: oggi Tremonti le critica non più perché figlie di una logica «mercatista» ma perché «è inutile illudersi che l’ eliminazione di un pezzo qui e un pezzo là possa produrre l’ effetto spinta necessario per rimetterci in pista nella globalizzazione». Sono propositi politicamente praticabili? Tremonti porta come esempio negativo i 2,7 milioni di invalidi e il 30% di evasione fiscale: perché il centrodestra non è stato capace di porvi rimedio in tutto il tempo in cui ha governato? Di nuovo c’ è che adesso ci è cascata addosso la crisi. Dipende se la intenderemo come emergenza da superare, come riforme da adottare nelle banche e nella finanza, oppure se la vedremo come opportunità/necessità di trovare un nuovo rapporto tra Stato e cittadini, con cui uscire da questo «tornante della storia».
In questa prospettiva, appare significativo che idee lanciate da Tremonti in materia di fiscalità trovino, quasi vent’ anni dopo, importanti convergenze a sinistra. E quanto alla destra, è lecito credere che le promesse di creare un partito liberale di massa non saranno state dimenticate.

Fonte: Corriere della Sera 2 giugno 2010

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