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Ue, se vincono gli egoismi nazionali

Il guaio degli eurobond è che uno degli ostacoli principali lo pone proprio chi li ha chiesti con maggior forza al vertice europeo, ossia la Francia. Senza un rafforzamento delle strutture politiche comuni dell’area euro, senza cessioni di sovranità da parte degli Stati, questi titoli di debito comuni non sarebbero credibili.
Pagherebbero interessi alti, con un forte onere per la Germania e poco sollievo per Spagna o Italia.
Mario Monti si dice ottimista. Certo, una maggioranza di governi dei Paesi euro è favorevole; e tutto il mondo ce li consiglia. Ma l’ostilità di tedeschi, olandesi, finlandesi, non è solo egoistica, ha buone ragioni. Può cadere solo se tutti saranno disponibili a procedere verso l’unione politica. Qui è Parigi a dover dare il via. Ed è improbabile che il neo-presidente François Hollande possa esprimersi – in un Paese così attaccato alla propria sovranità nazionale – prima di sapere se otterrà una maggioranza in Parlamento alle elezioni dei 10 e 17 giugno.
Per poter emettere eurobond che i mercati accettino a tassi di interesse moderati, occorre dunque quel «coraggioso salto di immaginazione politica» che Mario Draghi sollecita. E’ solo in apparenza strano che un banchiere centrale, addetto a governare la moneta, lanci un appello europeista tale da commuovere gli autori del Manifesto di Ventotene, se fossero ancora vivi. Lo fa per evitare che, in caso di eventi traumatici, tutte le responsabilità di evitare il peggio si concentrino sulle sue spalle.
Saranno terribili le settimane che ci separano dal doppio voto francese e dal nuovo voto greco, sempre il 17 giugno. Dopo il fallimento dei vertice dei governi, la Banca centrale europea è restata sola. Nulla oltre a suoi interventi di emergenza potrebbe evitare un disastro, qualora i pericoli si aggravassero; e su di essi il rischio di spaccature interne sarebbe altissimo. Ieri Draghi ha rivendicato la propria ortodossia monetaria nello stesso tempo distanziandosi dal dogmatismo della Bundesbank; in una stretta drammatica, questo potrebbe divenire impossibile.
La strada verso l’unione politica, se la si trova, può solo essere molto lunga; al massimo si può fissarne le tappe in anticipo, su un arco di anni. C’erano invece cose che il vertice europeo poteva fare subito, e non ha fatto, come ipnotizzato dalla possibilità che la Grecia oltrepassi il punto di non ritorno. Si può capire che si esiti a intaccare la sovranità nazionale, frutto di secoli di storia, giustamente cara ai cittadini. Difficile perdonare, invece, l’attaccamento di ciascuno Stato ai propri poteri sulle banche.
Si tratta qui di misure che ai cittadini non farebbero alcun danno, anzi porterebbero vantaggi. E’ una ottima idea quella suggerita dal governo italiano, di una garanzia comune sui depositi bancari dell’area euro: renderebbe tutti noi più sicuri sulla sorte dei nostri risparmi, invece di farci desiderare, come nei momenti di ansia accade, di spostarli in Germania. Ancor più, si potrebbero usare fondi europei per consolidare le banche deboli, a cominciare da quelle spagnole; e tanto di guadagnato se sfuggono all’influenza dei politici locali.
Una normativa bancaria unificata, con poteri centrali di regolazione e di intervento, è indispensabile quando si condivide una moneta. Gli americani ce lo avevano spiegato dall’inizio («ve ne accorgerete a vostre spese alla prima crisi» fu detto a chi scrive da una funzionaria della Federal Reserve nel 1998) ma gli interessi dei ceti dirigenti nazionali continuano a prevalere. Anche per questo ora si oscilla tra fare ai greci la faccia feroce, in modo che non votino per i partiti estremisti, e rassicurarli, nel timore che portino i soldi all’estero, rendendo così inevitabile il crack.

Fonte: La Stampa del 25 maggio 2012

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