di Enrico Giovannini
Convegno “Statistica e costruzione dello Stato”
Intervento del Prof. Enrico Giovannini
Grazie di questo invito e grazie agli altri relatori per gli interventi fatti nel corso della mattinata. Correggo solo il Prof. Guido Melis specificando che, durante la mia presidenza dell’ISTAT, poiché era il 150esimo Anniversario dell’Unità d’Italia, abbiamo tentato di dare una certa spinta agli studi storici, sistemando gli archivi, digitalizzandoli, ripubblicando la “Filosofia della Statistica” di Melchiorre Gioia, ricordato nell’intervento precedente, che per me è stata una lettura veramente straordinaria.
Io non parlerò del passato, a meno che non consideriate quello che è successo tre giorni sia “passato”. Piuttosto, proverò a fare una serie di riflessioni sul futuro, con tutte le attenzioni che Niels Bohr suggeriva, perché “fare previsioni è molto difficile, soprattutto sul futuro”. Quindi, vi propongo una riflessione su come potrebbe essere un convegno di questo tipo tra cinque anni. Il titolo probabilmente sarebbe diverso, forse invece di “La statistica e la costruzione dello Stato” sarebbe “La data science e la decostruzione dello Stato”, oppure, alternativamente, scegliete voi, “Dalla scienza dello Stato al Marchese del Grillo”.
Tre giorni fa, Elon Musk e Vivek Ramaswamy, i futuri responsabili del nuovo Dipartimento (Department of Government Efficiency, DOGE) che Trump ha voluto creare per riorganizzare il livello federale del governo, hanno scritto un articolo, di cui suggerisco la lettura, sul World Street Journal, su come loro pensano di operare lo smantellamento della legislazione, in particolare della legislazione amministrativa. In estrema sintesi, essi dicono: noi smantelleremo tutta la giungla di leggi, regolamenti, direttive ecc. che non sono state emanate dal Presidente o dal Congresso, ma da burocrati, i quali, non essendo eletti, hanno oltrepassato i loro limiti e hanno stabilito una quantità infinta di regole che nessun politico in realtà ha deciso.
Aggiungono: taglieremo il personale delle varie agenzie e ministeri in proporzione al numero di atti che cancelleremo, visto che, sopprimendo non solo gli atti amministrativi, ma anche il loro monitoraggio, la loro valutazione e tutte le cose giuste che abbiamo ascoltato nella prima parte del convegno, non avrebbe più nulla da fare.
Devo dire che sono rimasto totalmente esterrefatto da questa filosofia, che è una filosofia da Marchese del Grillo, che va contro l’idea di Stato liberale e democratico. Come è stato raccontato negli interventi precedenti, in uno stato democratico i dati non sono più proprietà di una “Casata”, ma sono di tutti, nella logica della statistica pilastro della democrazia.
In quest’ultima, infatti, i dati sono necessari per giudicare e consentire la valutazione delle politiche e dunque sono connessi all’espressione del voto democratico anche in funzione dei risultati di quelle politiche. Nella logica di Musk & C., tutto ciò viene sostituito dalla logica: “io sono stato votato, io ho il potere e tutto quello che non è emanato da me non conta e va cancellato”.
Forse mi sto sbagliando, forse sto esagerando, ma ho l’impressione, più ascolto e leggo quello che viene scritto dopo l’elezione di Trump, che siamo alle soglie di una possibile profondissima rivoluzione del concetto stesso di Stato. Dunque, anche di una relazione completamente nuova, ammesso che ci sia una relazione, tra statistica e questo nuovo concetto di Stato.
Forse tutto ciò di cui sto parlando non accadrà, ma non posso non dire che leggo un parallelismo con quanto accaduto all’inizio degli anni Ottanta, con la svolta politica neoliberista sostenuta dall’elezione di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Thatcher nel Regno Unito. La loro elezione fu preparata a lungo e accuratamente nelle università americane e inglesi, nelle quali furono istituite cattedre finanziate dalla destra (in senso lato) economica e culturale allo scopo di soppiantare la visione keynesiana e post-keynesiana dell’economia. Quella nuova generazione di docenti e ricercatori trovò spazio accademico anche grazie anche allo sviluppo tecnologico, che consentì anche a pensatori eterodossi di avere a disposizione dei personal computer con cui far girare modelli statistici ed econometrici totalmente nuovi, invece di dover pietire l’uso dei grandi computer presenti nelle università dove si insegnava l’economia keynesiana.
Come allora la “rivoluzione neoliberista” passò anche grazie ad una nuova ideologia economica e a nuovi strumenti informatici, oggi Trump e Musk sembrano voler fare la loro rivoluzione grazie allo smantellamento degli assetti amministrativi e all’uso dell’intelligenza artificiale e dei social media. Poiché negli anni Ottanta del secolo scorso, ci si rese conto in ritardo della profonda e duratura svolta politica ed economica di quel periodo, vorrei evitare di commettere nuovamente lo stesso errore. A proposito dell’uso strumentale dei dati, non scordiamoci che, quando Thatcher diventò Primo Ministro, sospese le statistiche sulla povertà sostenendo che, visto che la riduzione della povertà non era un obiettivo del governo, non avrebbe avuto senso spendere i soldi pubblici per rilevare qualcosa senza importanza. Analogamente, con Reagan il Senato mise un veto allo sviluppo delle statistiche ambientali all’interno dei conti nazionali e quindi posso solo immaginare cosa potrebbe succedere ora, visto che Trump sembra convinto che il cambiamento climatico sia una bufala. D’altra parte, un tale atteggiamento non sarebbe una sorpresa, visto che Trump, nel corso del suo primo mandato, dettò la regola per cui la pubblicazione di dati ambientali da parte dell’EPA doveva essere autorizzata esplicitamente dal suo direttore, da lui nominato.
È stato richiamato prima, correttamente, che l’Unione Europea (UE) è una cosa diversa dagli Stati Uniti, anche in materia statistica. Questo è indubbiamente vero, in quanto i dati rappresentano una base importante dei processi decisionali europei e proprio per evitare “trucchi” nelle statistiche (come quelli sul deficit e sul debito pubblico che portarono prima ad ammettere la Grecia nell’Unione monetaria e poi, sempre per colpa della Grecia, alla crisi del debito sovrano), l’UE si è dotata di regole volte ad assicurare l’indipendenza degli Istituti di statistica. E allora dobbiamo domandarci se, visto che ciò che succede negli Stati Uniti viene talvolta replicato in Europa con un po’ di ritardo, le regole esistenti costituirebbero un argine sufficiente a un approccio stile Musk.
La risposta, fortunatamente, è positiva, almeno sul piano della facilità operativa. Infatti, l’approccio di cui parlano Musk e Ramaswamy verrebbe attuata (a loro detta) grazie a “semplici” ordini esecutivi del Presidente (equivalenti ai nostri D.P.C.M.), senza cioè bisogno di un voto della Camera o del Senato. Nell’Unione Europea e in Italia bisognerebbe invece modificare regolamenti o leggi, il che renderebbe il tutto più complicato e assicurerebbe ai Parlamenti (europeo e italiano) voce in capitolo.
Come ho detto, forse mi sono fatto prendere da una sorta di complottismo, ma se così non fosse, allora la futura storia della statistica ufficiale individuerà in queste settimane un punto di non ritorno, almeno per gli Stati Uniti. Ovviamente, mi auguro che non sia così, ma invito tutti gli esperti della materia a seguire con attenzione cosa accade in quel Paese.
La seconda parte del mio intervento riguarda la mia esperienza personale, essendo stato sia presidente dell’ISTAT e poi per due volte Ministro. Nel libro “I Ministri tecnici non esistono”, pubblicato alla fine del 2023, ho provato a spiegare come – in particolare nella mia seconda esperienza – abbia cercato di portare la cultura statistica all’interno di un Ministero, quello delle Infrastrutture e dei Trasporti (o infrastrutture e mobilità sostenibili come lo avevo rinominato), soprattutto nella fase di definizione del PNRR e di altri interventi decisi nei 20 mesi del Governo Draghi, nel corso dei quali abbiamo assunto decisioni relative a 104 miliardi di euro di investimenti. Un approccio che non sembra essere seguito dall’attuale governo, come già richiamato da chi è intervenuto prima di me facendo riferimento al Codice della Strada appena approvato. In questo caso, infatti, alcune delle decisioni prese non vanno a risolvere problemi rilevanti, cioè evidenziati dai dati statistici, ma appaiono dettate da scelte ideologiche.
Nel mio libro “Scegliere il futuro. Conoscenza e politica al tempo dei Big Data” del 2014 analizzavo come, proprio alla luce dell’esperienza degli Stato Uniti, basarsi sul principio in cui crediamo noi qui riuniti, cioè “conoscere per deliberare” di cui parlava Luigi Einaudi nel 1955, non fosse l’unica strada da seguire per prendere decisioni. Nel libro, infatti, analizzando i diversi modelli di funzionamento della democrazia (da quelli basati sulla teoria dei giochi a quelli fondati sull’uso della propaganda e dei social media), mettevo in guardia dalla crescita di un approccio decisionale in cui è il politico a creare artificialmente quei “problemi” ai quali, guarda caso, è in grado di offrire soluzioni, piuttosto che affrontare quelli la cui reale importanza emerge dall’analisi dei dati statistici.
Purtroppo, da questo punto di vista abbiamo in Italia una debolezza drammatica, sia culturale che politica che mediatica, derivante in primo luogo dal fatto che, come mostrato dall’indagine PIAAC dell’OCSE, un terzo della popolazione italiana non ha le competenze minime per comprendere testi complessi o fare operazioni matematiche semplici. D’altra parte, la valutazione delle politiche pubbliche non è così centrale nei processi decisionali, sia del politico che delle amministrazioni. Eppure, i dati e i modelli per svolgere tale valutazione esistono, ma benché l’ISTAT, la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio si sgolino nelle audizioni parlamentari sulle leggi di Bilancio o su altri provvedimenti legislativi, il dibattito pubblico, di fatto, non ruota intorno a quelle informazioni, ma segue altre logiche, con la complicità dei media.
Vi faccio un esempio per tutti: anni fa quando ero Presidente sviluppammo gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES), un sottoinsieme dei quali (dodici indicatori) va considerato nel ciclo di preparazione e valutazione della legge di Bilancio. Infatti, a febbraio di ogni anno il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) valuta l’impatto della legge di Bilancio appena approvata su quei dodici indicatori. Ebbene, quest’anno la Relazione del MEF indica chiaramente che la legge di Bilancio per il triennio 2024-2026, approvata alla fine del 2023, non ha alcun effetto significativo sulle disuguaglianze tra ricchi e poveri, sulla povertà, sulle diseguaglianze di genere, sulle emissioni di gas climalteranti.
In un Paese normale una valutazione del genere avrebbe stimolato un grande dibattito pubblico, ma in Italia no. In un Paese normale l’opposizione avrebbe preso il Rapporto MEF e lo avrebbe usato ogni santo giorno per criticare il governo. I media avrebbero dovuto dare importanza a quelle valutazioni, così come i commentatori che ogni giorno scrivono e discutono di politica. E invece nulla. Il Rapporto non è stato rilanciato dai media, non è stato ripreso né dai politici, né dai commentatori. E la stessa cosa, lo dico per evitare che queste mie affermazioni vengano lette come “di parte”, era accaduta negli anni precedenti, compresi quelli in cui ero membro del governo.
Questo esempio dimostra come la cultura politica attuale del nostro Paese sia lontana anni luce dai discorsi che oggi facciamo qui. Purtroppo, ha preso piede l’idea che il cosiddetto “primato della politica” voglia dire che gli eletti – magari eletti grazie al voto di poco più di metà degli aventi diritto – possano fare, durante il loro mandato, ciò che vogliono e che la democrazia voglia semplicemente dire votare ogni cinque anni. Invece, la democrazia, come ci ricorda spesso il Presidente della Repubblica, è invece molto di più e si alimenta proprio grazie al dibattito continuo e pubblico su ciò che viene fatto, un dibattito basato su dati e fatti, non solo sulla propaganda o sul chiacchiericcio da talk show.
In conclusione, visto che oggi siamo qui a parlare di “Statistica e costruzione dello Stato”, bisogna tenere alta l’attenzione verso chi vuole invece “decostruire” lo Stato e verso i nuovi “marchesi del Grillo”. Per questo dobbiamo renderci conto che quando parliamo di statistica non ci riferiamo solo all’atto di produrre e diffondere dati statistici, ma anche ad azioni che contribuiscano a diffondere una cultura diffusa di attenzione alla “realtà statisticata”, come si diceva una volta, cioè una realtà basata sull’evidenza e all’uso sistematico di modelli di valutazione ex ante ed ex post delle decisioni politiche (come accade a livello europeo), al fine di consentire un dibattito democratico a tutto tondo sul modo in cui viene esercitato il potere.
Mi fermo qui e spero che la previsione di un futuro fatto di emarginazione della statistica sia tutta sbagliata, nel qual caso sono pronto, se lo riterrete opportuno, a partecipare al prossimo convegno su questo tema con il capo felicemente cosparso di cenere.
(Università degli Studi Roma Tre – Convegno “Statistica e costruzione dello Stato” – 22 novembre 2024)
Fonte: Università degli Studi Roma Tre - Convegno “Statistica e costruzione dello Stato” - 22 novembre 2024