Fiato sospeso per le scelte di Bernanke, ma la decisione di immettere nuova liquidità dovrebbe slittare a settembre.Dopo l’ estate Il presidente della Federal Reserve sta preparando un intervento per circa 600 miliardi di dollari.
«Quest’ attesa spasmodica mi ricorda una canzone del mio amato Frank Sinatra» dice Rick Santelli: il cronista finanziario della Cnbc considerato il padre (involontario) dei Tea Party, movimento che cominciò a crescere tre anni fa dopo un suo discorso incendiario contro lo statalismo spendaccione di Obama. «Vorrei che fosse Strangers in the Night ma purtroppo è Something Stupid» aggiunge nel suo commento di metà giornata col solito stile abrasivo: ironia e schiaffoni dialettici. Rivolti, stavolta, a chi spera che sia oggi Ben Bernanke a togliere le castagne dal fuoco dell’ economia americana lanciando una terza fase di «quantitative easing»: acquisto su larga scala di titoli (pubblici e privati) pagati con dollari freschi di stampa. È dalla fine della scorsa settimana che i mercati, sulle due sponde dell’ Atlantico, si sono rianimati nella speranza di un’ azione concentrata di Fed (oggi) e Banca centrale Europea (domani). Ma ieri le Borse hanno innestato di nuovo la retromarcia. Le indiscrezioni che trapelano (i lavori del consiglio dei governatori della Riserva Federale che oggi comunicherà le sue decisioni sono iniziati ieri mattina) sembrano indicare che l’ operazione «QE3», benché ormai definita, verrà materialmente lanciata solo a settembre. È questa anche l’ opinione prevalente tra le decine di economisti interpellati ieri dalle televisioni e dalle agenzie di stampa: Ben Bernanke, che un mese fa aveva già prorogato fino a fine anno l’ altro intervento su liquidità e debito pubblico, soprannominato «operation twist» (doveva scadere a fine giugno), è deciso ad adottare misure aggiuntive anche a costo di subire la contestazione dei governatori conservatori della Fed e di essere rimesso sul banco degli imputati dai repubblicani che, al Congresso, già invocano da tempo la sua defenestrazione. Il nuovo intervento si baserebbe su un acquisto di titoli – obbligazioni immobiliari e buoni del Tesoro Usa – per un ammontare di circa 600 miliardi di dollari. Una misura consistente ma non immensa, un ultimo tentativo di rianimare un’ economia di nuovo in fase di rallentamento, pur nella consapevolezza che tutti questi sostegni artificiali aumentano le distorsioni di un sistema che vive da cinque anni sotto la tenda a ossigeno, coi tassi pressoché azzerati: quella del Tesoro Usa che riesce ormai a finanziarsi a costo zero raccogliendo il risparmio di chi cerca un porto sicuro per i suoi capitali, è considerata a Wall Street una patologia alla quale è stato dato anche un nome: «Money for nothing». Nonostante ciò, nei giorni scorsi la Borsa si è ripresa, con l’ indice Dow Jones che ha superato quota 13 mila, proprio nell’ attesa di un intervento coordinato delle principali banche centrali occidentali. Ieri, come detto, i mercati sono tornati in flessione (lo Stock Exchange di New York ha perso lo 0,5 per cento). C’ è ancora attesa per una decisione immediata e incisiva della Bce mentre per quanto riguarda la Fed l’ impressione è che, anche se ormai definito, il varo del nuovo intervento venga rinviato alla prossima riunione del Fomc, il «direttorio» della Federal Reserve, che si terrà il 12 e 13 settembre. I dati negativi delle ultime settimane – mercato del lavoro, calo dei consumi, aspettative delle imprese – avevano spinto Bernanke a far sentire la sua voce. Ma ormai le munizioni a disposizione non sono molte: vanno usate con molta parsimonia. La sensazione di vari economisti è, poi, che questi interventi monetari – che non allarmano più di tanto perché l’ inflazione rimane ampiamente sotto controllo – non avranno comunque un grande impatto sull’ economia reale, visto che oggi a limitare il credito alle imprese non è una carenza di liquidità delle banche ma le condizioni stesse di un mercato nel quale la domanda di beni e servizi langue: una situazione che di certo non invoglia le imprese ad investire.
Tutti guardano alla Fed (che pero’ aspetta)
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