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Tute blu, il tramonto dei contratti nazionali

Il dopo Mirafiori comincia a produrre novità. Ieri il direttore generale della Federmeccanica Roberto Santarelli ha proposto una semplificazione della negoziazione sindacale. In sostanza il 90% delle piccole e medie aziende stipulerebbe un contratto di carattere nazionale, mentre il resto (per i meccanici non più di 500 aziende) si doterebbe di un contratto aziendale. La proposta, ben accolta in Confindustria, ha incontrato subito l’opposizione dei sindacati e stavolta di tutti e tre.
L’impressione è che i dirigenti di Cgil-Cisl-Uil si cullino nell’illusione che ci sia ancora spazio per due livelli contrattuali. In secondo luogo è spuntato subito il «fantasma del ribasso», dando per scontato che la contrattazione aziendale produrrebbe un risultato meno gratificante per i lavoratori di quella nazionale.
Ma chi l’ha detto? La forza del sindacato è concentrata nelle grandi cattedrali industriali e non certo nelle piccole imprese, di conseguenza Cgil-Cisl-Uil avranno tutte le chance di far valere le proprie ragioni nella contrattazione aziendale. Se poi Federmeccanica avesse in mente di ridurre i minimi contrattuali, i sindacati avrebbero buon gioco a replicare che sono già bassi e da quasi vent’anni vincolati all’inflazione. E francamente non si vede chi possa essere interessato a un’ulteriore compressione del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. Piuttosto ragionando azienda per azienda gli industriali proporranno soluzioni più aderenti alle rispettive organizzazioni del lavoro e richiederanno regimi di orario ad hoc.
Ma un sindacato che non si limiti a produrre manifestazioni e convention di intellettuali dovrebbe ben conoscere la fabbrica in cui opera, saper proporre soluzioni convincenti e in caso alternative. E quanto ai regimi di orario, categorie come i tessili o i lavoratori del commercio hanno fatto della capacità di contrattare la flessibilità un elemento di nuova legittimazione. In più c’è un’ampia casistica di contratti aziendale — due esempi su tutti: Lavazza e Luxottica — dove le soluzioni trovate sono state anticipatrici o comunque innovative. Ma al di là della proposta Santarelli, che può essere discussa/emendata/bocciata, è di un nuovo spirito che hanno bisogno le relazioni industriali italiane. Dopo Mirafiori — e con tutti i limiti di una vicenda che ha visto in tanti improvvisarsi giuristi del lavoro — siamo entrati in una fase nuova. Per tutti si tratta di aggiornare velocemente gli strumenti del mestiere. Meno sermoni, più cultura d’azienda.

Fonte: Corriere della Sera del 19 gennaio 2011

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