Il premier La strategia del premier è imperniata su successivi duelli: con Occhetto, con Prodi, con D’ Alema, con Veltroni, addirittura con Renato Soru Implosione Nessuno dei duellanti riesce a governare in casa propria la complessità sistemica, e la complessità non governata implode
In ogni sistema sociopolitico, passato presente e futuro, ha un ruolo fondamentale la pratica del duello. I leader, affermati o aspiranti che siano, fanno del combattimento a due lo strumento per affermare il proprio rango, per provocare l’ avversario, per studiarne i punti di debolezza, e per arrivare a sconfiggerlo, quasi a consacrazione di una più complessa vittoria militare o politica. Si rilegga al proposito il Girard di «Portare Clausewitz all’ estremo», un lungo saggio sulla tentazione drammatica al duello condotto fino all’ oltranza nella storia moderna, da Napoleone in poi. Anche nella nostra più povera recente storia nazionale, il duello fra leader politici è diventato una non resistibile tentazione, generata dal bipolarismo personalizzato di questo ultimo ventennio e alimentata dalla corrente drammatizzazione mediatica delle vicende e dei comportamenti pubblici. Un combinato disposto (il bipolarismo personalizzato e l’ enfasi mediatica) che ispira i protagonisti politici a una vera e propria coazione al duello; primo fra tutti l’ attuale premier che ha sempre imperniato la sua strategia non su complesse interpretazioni sociopolitiche, ma sulla imposizione di tanti successivi duelli: con Occhetto, con Prodi, con D’ Alema, con Rutelli, con Veltroni, addirittura con Soru nella per lui non marginale Sardegna. Un genio del duello, con la quasi magica capacità di far sì che gli avversari cadano nella tentazione al combattimento a due, anche quando hanno il sospetto che ne usciranno a dir poco malandati. Nel lungo periodo però una tale coazione a ripetere non paga più e, malgrado qualche residua scintilla, oggi si vedono i sintomi di un declino della voglia di farsi protagonista politico usando il duello: da un lato l’ oltranza continuata stanca anche chi la esercita; dall’ altro cominciano a mancare i protagonisti, visto che sono pochi i potenziali leader di sistema che vogliono giocarsi tutto su una sola «mano schermistica»; e dall’ altro ancora tutti cominciamo a temere che, essendo la politica fatta di parole, la loro esasperazione duellante conduca lentamente alla loro insignificanza. È quindi verosimile che il duello resterà lo strumento privilegiato della storia di un periodo forse già passato. C’ è comunque da rallegrarsene, visto che la coazione al duello personalizzato ha comportato una radicale disattenzione per quel che avviene nel campo di appartenenza dei protagonisti, per l’ implosione dei sistemi culturali, politici, di potere che stanno dietro di loro. Gli occhi di tutti, su suggestione dei media, sono puntati sulla dinamica dei duellanti, mentre nessuno di essi riesce a governare in casa propria la complessità sistemica che comunque esisteva prima ed esisterà dopo ogni duello. E la complessità non governata implode, si scompone. Così ad esempio mentre Gorbaciov ed Eltsin duellavano con l’ Occidente, il sistema sovietico implodeva fino al collasso; mentre due pontefici carismatici (l’ attuale e il predecessore) duellavano con la modernità secolarizzata, il sistema ecclesiale implodeva fino a una crisi oggi difficile da contrastare; mentre il nostro premier aspetta e spera che le vicende politiche gli garantiscano un’ altra occasione di grande duello, il suo schieramento mostra pericolosi sintomi di implosione. Ciò non avviene per cattiveria, complotto, irriconoscenza collettiva, ma per ragioni oggettive e quasi banali. Il politico che duella è convinto che si giuoca tutto in quello scambio di sciabolate o di rivoltellate; e pensa che la leadership gli venga (o gli venga ribadita) dall’ esito del duello. Così finisce per dimenticarsi che la leadership può venirgli solo dalla sua capacità di governare il complesso sistema cui egli sovrintende, sia esso statuale, religioso o partitico, per restare ai tre esempi precedenti. Un po’ dappertutto manca in effetti una cultura politica della complessità e del suo governo. Se, come qualcuno comincia a dire, la crisi del mondo moderno è più politica (di cultura di governo) che economica, allora cominciamo a lavorarci dalle fondamenta, resistendo alla tentazione di semplificare la complessità e alla propensione a coartarla nella logica del combattimento a due, dell’ adolescenziale duello a oltranza.
Troppi duellanti in un Paese immobile
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