Aggredire il debito vendendo beni pubblici, rilanciare lo sviluppo, tagliare i costi attraverso riforme strutturali.
Lincertezza politica pesa, perché le imprese devono fare investimenti e gli investimenti dipendono dalle prospettive future, le quali dipendono dalla tenuta complessiva del paese. Devono essere state quelle del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, le parole che più di altre hanno pesato nella tormentata decisione di Giorgio Napolitano cui deve andare il deferente omaggio di tutto il mondo dell economia per la sua disponibilità a continuare di servire il Paese di accettare la ricandidatura alla presidenza della Repubblica, con lobiettivo di sbloccare una situazione che era diventata esplosiva e che domani rischiava di svegliare i mercati che finora, nonostante due mesi di caos post-elettorale, ci hanno graziato.
Le parole, spese a Washington al termine dei lavori del G20, da Visco sono arrivate dopo la diffusione degli ultimi dati sulla congiuntura, che ancora una volta hanno richiamato la realtà, durissima, di una recessione la cui morsa è diventata ancora più stringente negli ultimi mesi. A certificarlo sono i dati sul calo del fatturato (-4,7% su base annua, quattordicesimo ribasso consecutivo) e sugli ordinativi (-7,9%) delle imprese industriali. Numeri che ipotecano landamento del pil, il quale a fine anno rischia di andare ben al di là della perdita di un punto e mezzo già stimata e di avvicinarsi a quella fatta registrare nel 2012 (-2,4%), facendo approssimare ai dieci punti di ricchezza nazionale, pari a 150 miliardi di euro, il costo della recessione iniziata nel 2008. La cui conseguenza è la falcidie di centinaia di migliaia di imprese, come dimostra il saldo negativo record tra nascite e chiusure aziendali del primo trimestre (-30 mila).
È dunque di fronte alla conferma di una situazione economica drammatica che è maturata la disponibilità di Napolitano, la quale come si sa è però stata accompagnata da vincolanti impegni chiesti ai tre partiti che lo sostengono in tema di formazione di un governo e di scelte che lo stesso dovrà fare. Ed è di questo che fin dora è bene parlare. Non tanto il nome del presidente del Consiglio o dei ministri, quanto le politiche economiche che metterà in atto. Sarà la stessa linea del governo Monti? Avrà come base le tesi dei saggi nominati dal Quirinale? O cè spazio per qualche idea meno conservativa? Può sembrare prematuro questo discorso e per molti versi lo è, visto che per linsensatezza di qualcuno abbiamo anteposto la nomina del Capo dello Stato a quella per la formazione di un governo ma è anche vero che con la riconferma di Napolitano il dopo dovrà e potrà procedere con estrema rapidità.
Diciamo allora che tre dovranno essere i punti fermi della politica economica, purtroppo ancora una volta demergenza, che farà il governo del presidente che il riconfermato Napolitano metterà in pista: 1) continuare il risanamento della finanza pubblica, ma aggredendo il debito, e non più il deficit corrente, attraverso luso del patrimonio pubblico; 2) acquisire lobiettivo della crescita come priorità assoluta, da perseguire con investimenti strategici e riduzione del carico fiscale su imprese e lavoro, le cui risorse andranno reperite insieme a quelle per labbattimento del debito; 3) stabilire che la riduzione della spesa pubblica corrente dovrà essere conseguenza di riforme strutturali e non di spending review. Ma per ora godiamoci il nuovo Presidente, da domani parliamo della ripresa.
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