C’è l’Europa dei vincoli e l’Europa delle opportunità. Subire i primi e non cogliere le seconde è un modo per farsi del male. Ma vado oltre, perché una politica saggia e lungimirante è in grado di vivere i vincoli come opportunità e trasformare le opportunità in punti di forza.
Chi vive l’Europa come imposizione è destinato a subirne i difetti (che ci sono), senza godere dei pregi (che sono notevoli). Chi vive l’Europa come opzione eventuale, da praticarsi a intermittenza e da frequentare saltuariamente, è destinato a rimanerne ai margini.
L’atteggiamento corretto è ben diverso. Il destino dell’Italia e quello dell’Europa sono strettamente intrecciati, la nostra vocazione europeista risiede nelle radici dell’unità, come nell’alba della Repubblica. Proprio per questo non saremo mai oggetto delle politiche altrui, non ci ridurremo mai a eseguirle pedissequamente, siamo consapevoli di occupare un ruolo di cofondatori e coprotagonisti. Pensare di togliercelo equivale a voler affondare l’Europa, condannandola al fallimento della sua aspirazione unitaria.
Non me la prendo più di tanto per un episodio sgradevole, occorso durante una conferenza stampa, probabilmente frutto di stanchezza e nervosismo, anzi: suggerisco di non parlarne più. Ma guai a credere che l’Unione possa portare il marchio di questo o quel Paese, che sia la sede del dominio anziché della condivisione, perché se si commette questo errore si tradisce la storia di ciascuno. La nostra, quella francese, quella tedesca, quella di tutti. Si tradisce la storia di uomini e classi dirigenti che dopo la seconda guerra mondiale decisero di mettere definitivamente fine all’era dei conflitti europei.
Quanto a noi italiani, dobbiamo smetterla di raccontare una cosa in sede europea e poi tornare a casa e dimenticarcene. Non è furbo. Semmai, è una dimostrazione d’imbarazzo, d’ininfluenza, d’inferiorità intellettuale. I patti si rispettano, la parola data si onora. Tale condotta è nel nostro interesse.
Ho sentito molte cose fastidiose in questi giorni. Ho letto tesi inaccettabili, come se lo scambio di lettere, fra il nostro governo e le diverse istituzioni europee, sia interpretabile usando concetti quali “commissariamento” o “esame”. Ho pensato con malinconia a quei grandi italiani che, costretti al confino di Ventotene dal regime fascista, concepirono la libertà come progetto dell’Europa federale. Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. L’Italia orgogliosa di sé guardava all’Europa come il naturale ambito del proprio riscatto. Forse dovremmo ricordarcene più spesso.
E,del resto,anche in tempi a noi più vicini è stata proprio l’Europa a far da discrimine fra le aspirazioni di libertà e quelle di sudditanza. Fu per rendere forte e libera l’Europa, nel pieno della guerra fredda, che si fece nascere il nonno dell’euro: il serpente monetario. Allora la sinistra comunista fu contraria, salvo poi sostenere di averci portata lei, nell’euro. Fu per rendere solida e durevole la pace che si schierarono gli euromissili, vedendo assieme il governo socialdemocratico tedesco e i governi italiani retti dalla sinistra democratica. Anche in quel caso i comunisti furono contrari e, non a caso, quella cultura ha covato le uova di serpente dal cui dischiudersi oggi discendono le tesi che prima ricordavo. Con il dovuto orrore.
Inviando la lettera a Herman Van Rompuy e Josè Manuel Barroso, il Governo si è dotato di un’Agenda Europea, ha scolpito nella pietra il proprio programma di fine legislatura.
Quella lettera contiene il riassunto di una straordinaria opportunità, consistente nell’utilizzare il vincolo europeo per far fare all’Italia un salto in avanti di modernità e dinamismo, arricchendola di coraggio e di sfide da cogliere, aprendo orizzonti nuovi alle energie fresche, parlando la lingua del futuro anziché biascicare il vernacolo del passato. E andremo oltre, dettaglieremo all’Europa il come e il quando di ogni singola innovazione e riforma, rendendo il vincolo così stretto da propiziare le opportunità che offre.
Rispetteremo i tempi approvando e implementando le singole misure per creare le condizioni strutturali favorevoli alla crescita. Al contempo, terremo fede agli impegni presi in termini di pareggio di bilancio al 2013, avanzo primario strutturale e riduzione del rapporto debito/Pil pari al 112,6% al 2014 e metteremo ciascuno di fronte alle proprie responsabilità: governo, maggioranza e opposizione.
Ogni altra direzione di marcia, ogni altra opzione, non si limiterebbe ad essere un danno per gli interessi collettivi, ma si spingerebbe a farci tradire la nostra storia nazionale più bella. Proprio perché su una sfida simile il governo è pronto a giocarsi la vita, da questa sfida se la vedrà allungare.
Trasformiamo i vincoli in opportunità
Commenti disabilitati.