di Giuseppe Pennisi
Vi ricordate ‘La Cina è vicina’, un film di Marco Bellocchio che vinse il Leone d’Argento al Festival di Venezia 1967? Ritorna di tanto in tanto in televisione ed è una bonaria satira dei ‘maoisti’ nostrani negli anni della contestazione, un periodo che non ho vissuto, almeno nei modi in cui è stato declinato in Italia perché studiavo e lavoravo negli Stati Uniti.
Mi si dice (ma non ho documentazione in materia), che l’allora giovane Giovanni Tria, oggi ministro dell’Economia e delle Finanze, fosse in quegli anni sulle barricate tra i ‘cinesi’ nostrani. Tria comunque conosce la Cina e parla gli elementi essenziali di mandarino. Ora si è preso carico di una missione che dovrebbe servire a riequilibrare l’intercambio italo cinese ed anche convincere le autorità di Pechino ad effettuare investimenti in Italia ed ad acquistare nostri titoli di Stato.
Se ne avverte l’esigenza perché negli ultimi due mesi gli operatori esteri che detengono quasi un terzo del nostro debito pubblico hanno venduto 70 miliardi di titoli italiani. In aggiunta il rifinanziamento del nostro debito pubblico (ben 900-1000 miliardi nel corso di questa legislatura) rischia di diventare molto più oneroso a causa dell’aumento (in prospettiva) dei tassi d’interesse, delineato il fine settimana scorso nel seminario annuale dei maggiori banchieri centrali a Jackson Hole nel Wyoming. Sta anche crescendo lo spread tra i nostri titoli di Stato e quelli di riferimento all’interno dell’unione monetaria (ossia i bund , ossia titoli decennali tedeschi).
In parallelo, il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, che ha vissuto, insegnato e fatto affari nel Celeste Impero, va anche lui a Pechino con l’intento di vendere il 49% di Alitalia, diversi porti e anche sviluppare progetti comune nel digitale. Che possibilità hanno queste due intraprese di avere successo? Il momento non è il più favorevole per diverse ragioni. Le più importanti sono quelle a carattere interno.
La Cina, soprattutto il suo sistema bancario , sta attraversando una fase molto difficile. Lo ha descritto bene un’approfondita inchiesta sul New York Times del 25-26 agosto. In breve: dato il rallentamento dell’economia e le difficoltà in cui versano numerose grandi, medie e piccole imprese, le autorità politiche stanno forzando il sistema bancario ad andare ben oltre quelli che sarebbero i limiti ispirati a sana prudenza. L’intervento pubblico è anche chiamato a sorreggere il mercato finanziario, in quanto si teme un bolla finanziaria seguita da una forte contrazione della Borsa, analoga quella di tre anni fa. Questi problemi sono aggravati dalla guerriglia commerciale con l’America di Trump.
È difficile pensare che Pechino sia pronta a ‘darci una mano’ con acquisto di buoni del Tesoro o con Alitalia in quanto scotta ancora la perdita subita con l’investimento in Atlantia. I cinesi amano fare affari, non beneficenza.
Fonte: da Avvenire del 28 agosto del 2018