• domenica , 22 Dicembre 2024

Terapia choc prima che sia tardi

Tanto tuonò che piovve. Accompagnata dal rullo di tamburi delle previsioni negative, la recessione è tornata in Italia a gelare tutte le velleità di crescita dell’economia di cui pure avevamo ed abbiamo un gran bisogno.
Quel segno meno davanti allo 0,2 di variazione del prodotto interno lordo italiano registrato nel secondo trimestre di quest’anno, la dice lunga su almeno 3 grandi illusioni che hanno accompagnato le chiacchiere della politica e le speranze degli italiani.
La prima grande illusione è stata immaginare che la ripresa dell’economia potesse essere trainata dalla domanda di consumi interni delle famiglie. A questo fine erano diretti gli 80 euro di bonus fiscale per chi guadagna da 8 a 26 mila euro l’anno. Ma a questo non sono serviti affatto. La storia recente lo aveva già dimostrato nel 2006 quando il governo Prodi varò una misura analoga ma la Banca d’Italia certificò che l’effetto era nullo.
L’Istat oggi spiega che “ dal lato della domanda, il contributo alla variazione congiunturale del Pil della componente nazionale al lordo delle scorte risulta nullo”. Il chè, tradotto in linguaggio meno tecnico, significa che il bonus fiscale è stato, se non inutile, quanto meno insufficiente a sollevare i consumi delle famiglie e il Pil. Non è quel poco denaro in più restituito ad un quinto degli italiani, dunque, che può sbloccare la loro paura del futuro.
La seconda grande illusione è stata pensare che sarebbero state anche le nostre imprese a rimettere in moto la crescita dell’economia. Si confidava nelle progressive sorti delle esportazioni, nel miracolo del made in Italy, le cui vendite all’estero avrebbero più che compensato gli acquisti e dunque fatto arrivare in Italia quel flusso netto di denaro che fa girare impianti, macchine e produzione industriale.
Ed invece no. La verità si è rivelata un’altra già prima del dato di oggi. Dal 2006 al 2013, abbracciando cioè tutto il periodo della crisi, le esportazioni italiane sono cresciute dell’11% ma quelle dell’Europa, esclusa l’Italia, del 30%, dimostrando che c’è un problema di competitività delle imprese italiane evidente e irrisolto. Poiché nulla è cambiato per accorciare questa distanza tra noi e gli altri, come si poteva immaginare che dall’export sarebbe arrivata la spinta alla crescita? Ed infatti ancora l’Istat conferma oggi addirittura che “Dal lato della componente estera netta il contributo al Pil è negativo”. Ciò significa che l’estero non ci ha affatto aiutato ma penalizzato.

La terza illusione era sperare che un aiuto alla crescita dell’economia italiana l’avrebbero data i paesi forti dell’Europa, quelli nei quali l’economia marcia, i quali avrebbero acquistato prodotti italiani in misura tale da trainare le nostre esportazioni. Ebbene il più forte paese d’Europa, la Germania mostra per il terzo mese consecutivo un calo della produzione industriale, testimoniando così che in un mercato unico come quello europeo, accomunato dalla stessa valuta, non possono convivere gli egoismi delle economie virtuose a spese delle economie più deboli, senza che queste ultime prima o poi trascinino in basso anche le prime. Se l’Italia, che è il primo paese si sbocco dei prodotti tedeschi, è in recessione a chi vendono le imprese tedesche?
La buona notizia è che forse da oggi le 3 illusioni possono svanire e che è possibile maggiore realismo nell’affrontare ora i problemi dell’economia.
Il paese si è dilaniato per anni tra le ricette degli economisti keynesiani, per i quali l’intervento della spesa pubblica anche in deficit è essenziale per far ripartire crescita ed occupazione; e le ricette dei neoliberisti per i quali occorre una politica dell’offerta che riduca la pressione fiscale, rilanciando per questa via lconsumi e crescita.
Al punto in cui siamo occorre forse prendere atto che in Italia c’è bisogno di un armistizio, cioè di entrambe le politiche contestualmente, purchè la prima, la ricetta keynesiana, sia una politica di soli investimenti pubblici immediatamente cantierabili accompagnata da tagli di spesa coraggiosi; e la seconda , la politica del’offerta, sia una riduzione della pressione fiscale ben più energica e più estesa del bonus fiscale e del mini taglio dell’irap per le imprese.
Ma nell’uno come nel’altro caso, ciò che serve è un intervento choc. Senza troppi calcoli nè mediazioni, a Roma come a Bruxelles. Viceversa, come diceva Keynes, nel gradualismo dei tempi lunghi saremo tutti morti.

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