• sabato , 23 Novembre 2024

Tecnocrati contro il governo Letta

Sarà perché i tecnici soffrono di solitudine in questo revival della politica, ma i bocconiani che avevano preso in mano l’Italia dopo il collasso del novembre 2011 sono insoddisfatti del governo Letta-Alfano. Domenica, sul Corriere della Sera, la coppia Alesina&Giavazzi ha accusato Enrico Letta di essere “democristiano” invitandolo ad “avere coraggio”. Si temporeggia, si va avanti a piccoli passi e non si fanno le cose più urgenti, non parliamo delle più coraggiose. E’ vero che siamo in èra di post austerità, ma allora bisognerebbe entrare in quella delle riforme. Invece né l’una né le altre. Un cruccio per Mario Monti che l’austerità l’ha praticata e qualche riforma l’ha fatta (quella delle pensioni, per esempio).
Il primo problema è il deficit di bilancio: la maggior parte delle misure prese finora non ha piena copertura, si va avanti a manovrine ex post per tappare i buchi, senza la garanzia che effettivamente diano i frutti sperati. La caduta delle entrate Iva mette a rischio i ricavi del fisco. Provvedimenti come la parziale sanatoria per i precari della scuola aprono il vaso di Pandora. Insomma, l’uomo che ha portato l’Italia fuori dalla procedura d’infrazione sa che il cammino è disseminato di tante mine, nessuna delle quali di per sé distruttiva; ma una loro deflagrazione a catena può immediatamente riportare il paese in zona pericolo. Monti è intristito nel vedere che la sua tattica nei confronti di Bruxelles viene rovesciata nei fatti. Il professore ha garantito il rispetto del tre per cento, puntando su compensazioni parallele: escludere dal calcolo gli investimenti pubblici oppure il meccanismo detto salva stati, cioè le Outright monetary transactions della Banca centrale europea che hanno mandato fuori dai gangheri la Bundesbank. Cosa vuol fare Letta? Chiedere un rinvio per il pareggio strutturale del bilancio, modello Spagna e Francia? E cosa offrirebbe in cambio? Il pericolo s’annida nelle promesse alle parti sociali: la riduzione del cuneo fiscale sta già provocando una rincorsa al rialzo.
Quattro miliardi è quel che il governo potrebbe (forse) permettersi. La Confindustria ne chiede dieci. I sindacati arrivano a 15 sia pur spalmati in più anni; oltre un punto di prodotto lordo da recuperare con la spending review affidata a Carlo Cottarelli, economista di primo piano del Fondo monetario internazionale. Sarà un commissario con poteri di verifica e ispezione, ma perché mai dovrebbe far meglio di Piero Giarda o di Enrico Bondi lo sforbiciatore? I tagli “intelligenti” non riescono perché chi ha in mano le vere cifre le tiene per sé, dalla Ragioneria generale ai dirigenti dei ministeri, per non parlare di comuni e regioni. Cambieranno davvero le cose? Per ottenere un rinvio dalla Ue, bisognerebbe presentare a Bruxelles riforme forti, soprattutto quella del mercato del lavoro, modello Spagna o Germania. E qui cade la critica di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. “Ci sono due Italie – scrivono gli economisti – Una fatta di imprese produttive che esportano e si sono ben adattate all’euro. Altre che si sono rinchiuse nel mercato domestico, non si rinnovano a sufficienza e sopravvivono solo grazie a mille protezioni”.
Il taglio del cuneo fiscale, soprattutto se di modesta entità, non aiuta nessuna delle due. Le imprese esportatrici hanno recuperato competitività e vorrebbero semmai credito a basso interesse e lungo termine, sostegni all’export, politiche volte a favorire la loro installazione nei mercati più dinamici. Le aziende domestiche hanno bisogno di una ristrutturazione profonda e radicale, per la quale occorre mettere mano agli ammortizzatori sociali. La cassa integrazione, per esempio, “è un ostacolo alla riorganizzazione delle risorse. Occorre sostituirla con sussidi alla disoccupazione basati su incentivi a cercare attivamente lavoro”. Anche le tasse sul lavoro sono da ridurre secondo Alesina&Giavazzi, ma dentro una politica che riforma a fondo il mercato del lavoro. A questo punto è possibile “parlare con chiarezza all’Ue chiedendo di permetterci qualche anno di flessibilità sui vincoli fiscali per facilitare queste riforme”. Sarà difficile. Molto dipende dall’atteggiamento del prossimo governo tedesco. Ma senza le credenziali giuste, nessuno darà retta a Roma.

Fonte: Il Foglio 11 ottobre 2013

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