• venerdì , 22 Novembre 2024

Tattica, politica e idealismo dietro la “conversione” di Angela

Merkel non ha “abbozzato”, ma ha trovato un compromesso creativo con Draghi sulla Bce “salva stati”.
Il giorno dopo il piano della Banca centrale europea, il fumo mediatico copre la Germania. “Un assegno in bianco” titola la Bild, il tabloid del gruppo Springer, dall’alto delle sue cinque milioni di copie. Die Welt, il quotidiano istituzionale dello stesso editore, s’interroga sul “bazooka di Draghi” e la Frankfurter Allgemeine Zeitung, considerata la voce della Bundesbank, chiede alla Corte costituzionale di respingere, nella riunione di mercoledì prossimo, il Meccanismo salva stati (Esm). Colpisce in modo particolare l’atteggiamento della Süddeutsche Zeitung: “Draghi finirà per spingere i tedeschi sulle barricate”, scrive. E’ vero che il quotidiano vende soprattutto in Baviera, regno della Csu (il Partito cristiano sociale), ma è sempre stato vicino alle posizioni della socialdemocrazia storicamente forte a Monaco. L’atteggiamento del Spd, del resto, è stato ambiguo in tutti questi mesi: europeista per tradizione, ha cercato di approfittare delle divisioni nella coalizione titillando i liberali intransigenti. Frank-Walter Steinmeier, capogruppo parlamentare, ha accusato la Kanzlerin di coprirsi dietro Mario Draghi: lui fa il lavoro che dovrebbe spettare al governo. La Süddeutsche, dunque, apre un ballo che finirà solo fra un anno, con le prossime elezioni parlamentari?
Proprio in Baviera, al convegno della Csu, davanti a giganteschi boccali di birra, Angela Merkel ha osato dire che “la Grecia merita la nostra solidarietà” e “i mercati non sono al servizio del popolo”. Le cronache non registrano fischi né lanci di uova marce, al contrario. Attenti, dunque, a non dipingere in modo sommario il dibattito interno. Philipp Rösler, ministro dell’Economia, liberale, uno dei più puri paladini del rigore, adesso sostiene che “la soluzione della Bce non è a lungo termine: l’importante è imporre condizioni a questo acquisto temporaneo”. All’assemblea del partito a Magonza si sentono espressioni ben più stentoree, ma chi sta al governo è attento a non tirare troppo la corda. Il consenso per i liberali è ai minimi e il loro futuro assai incerto. Così, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, già capo del Fdp, getta la palla avanti e s’impegna in futuribili progetti sulla difesa europea e sul federalismo. La Merkel – secondo la quale la Bce “ha indicato che il futuro dell’euro dipende in grande misura dalle iniziative politiche e la condizionalità è un punto molto importante. E’ il cammino che abbiamo sempre scelto” – con lui va d’amore e d’accordo, e ha trovato da tempo una sintonia di fondo con Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze, europeista d’antan, già delfino di Kohl prima di finire coinvolto in una storia di tangenti che investì anche il grande cancelliere. “Si tratta di politica monetaria– ha detto ieri il ministro difendendo Draghi – non del finanziamento monetario del debito sovrano. Questo sì, sarebbe inaccettabile”. Elmar Brok, parlamentare europeo, membro dell’esecutivo della Cdu, considera l’acquisto di bond degli stati in difficoltà “una saggia via mediana”. Secondo Norbert Barthle, portavoce del Partito cristiano democratico, il Bundestag manterrà comunque potere di veto e insiste anche lui che gli interventi saranno temporanei. Dunque, la linea, concordata con Angela, è chiara: al rigore non si rinuncia, niente cambiamenti azzardati come la trasformazione dell’Esm in banca proposta da Mario Monti, condizionalità (la nuova parola magica) nel concedere gli aiuti (i governi dovranno sottostare a impegni stringenti con la Bce e con la Ue) e facoltà di ritirarli nel momento in cui gli accordi venissero violati. Ma non c’è dubbio che, pur ribadendo la continuità con il passato, il sostegno alla linea Draghi è una svolta. Quando è maturata e perché?
Gli osservatori più addentro sottolineano che bisogna risalire al drammatico fine settimana del 23 e 24 giugno, alla vigilia del G20 e una settimana prima del Consiglio europeo. La moneta unica è davvero appesa a un filo sottile. Nei giorni precedenti, le banche centrali, dalla Federal reserve alla Bank of England, fanno trapelare che sono pronte a interventi concertati per evitare un collasso del sistema monetario internazionale. Il 26 la Merkel proclama: “Gli Eurobond? Mai finché vivrò”. Tutti interpretano questa dichiarazione come l’inizio della fine. In realtà, è uno spartiacque: al di là, nulla, perché sarebbe come mettere in comune i debiti; al di qua, invece… Al Consiglio Ue, rilancia l’idea di compiere passi avanti verso l’integrazione europea, ben oltre il Fiscal compact, anche rivedendo i trattati.
Giovedì 26 luglio, Draghi dice di essere pronto a fare tutto quel che serve per salvare l’euro. Durante il mese è maturato dunque il compromesso che isola la Bundesbank: l’intervento sarà temporaneo e condizionato, mettendo così la stessa politica monetaria in rapporto diretto con la politica fiscale. Resta un’incertezza non di poco conto: sarà anche illimitato? E’ questa la clausola che può davvero chiudere la guerra dello spread. Il presidente della Bce si riserva di agire in assoluta autonomia, assumendosi rischio e responsabilità. La Merkel si fida, tra i due è scattata una chimica personale positiva. Inoltre, la cancelliera sa che la linea Draghi è sostenuta dalla Francia di Hollande (a parte Italia e Spagna che ne hanno bisogno come il pane), ma anche da tradizionali alleati come gli austriaci. Va aggiunto che l’Olanda è fuori gioco, paralizzata da una ingovernabilità che nemmeno le elezioni della prossima settimana potranno risolvere. I falchi finlandesi hanno perso gli artigli ora che anche la loro economia si ferma. E i segnali sono negativi anche per l’economia tedesca: crescita di poco sopra lo zero, l’afflusso di capitali rallenta (vedi ultime aste dei Bund). Mentre, dall’altro capo dell’Atlantico, l’Amministrazione Obama, in affanno, non smette di battere il tamburo.
Ma sulla Cancelliera ha fatto breccia anche un argomento politico: da più parti è stata accusata di non mostrare la leadership e la visione di Kohl. E’ una critica che le pesa, sostiene chi la conosce. Vuole arrivare alle elezioni con l’euro a pezzi? Davvero il ritorno al marco piace ai tedeschi ed è nel loro interesse? La rottura con la Bundesbank è senza dubbio una mossa azzardata e costosa. Però, non siamo a questo: c’è una divergenza tattica e politica, non una frattura istituzionale. E poi, quando Kohl decise il cambio alla pari tra il marco dell’est e quello dell’ovest, si dimise il capo della BuBa di allora, Otto Pöhl, e passò la linea del cancelliere. Politique d’abord. Angela rischia grosso, ma buttare a mare quel che la Cdu ha costruito, da Adenauer in poi, sarebbe peggio. Dunque, sceglie l’euro; a muso duro, ma pur sempre l’euro.

Fonte: Il Foglio 8 settembre 2012

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