L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, compresi i Bot e gli altri titoli di Stato, rischia di annullare gli sgravi Irpef destinati alle famiglie di dipendenti e pensionati. Anzi, nel saldo fra Irpef e rendite, gran parte dei piccoli risparmiatori finirà per rimetterci.
La nuova aliquota del 20%, prevista nella delega varata dal governo insieme con la legge finanziaria, non colpirà soltanto contribuenti ad alto reddito, dirigenti e professionisti: l’indagine Bankitalia sui bilanci delle famiglie italiane nel 2004, elaborata da Benedetto della Vedova e Piercamillo Falasca per Epistemes.com, evidenzia come il 36,7% delle attività finanziarie detenute dalle famiglie sia in mano a nuclei con capofamiglia lavoratore dipendente. E un altro 36,6% è nelle mani di famiglie dei pensionati o di non occupati. Nella media – fra i vantaggi della nuova Irpef e gli svantaggi della nuova aliquota sulle rendite – le famiglie dei dipendenti perderebbero 175 euro l’anno, quelle dei pensionati 246 euro l’anno.
Spiegano i due economisti – Della Vedova è anche parlamentare dei Riformatori liberali – che l’obiezione secondo la quale le attività finanziarie non riguarderebbero le famiglie di dipendenti e pensionati, è priva di fondamento. Buona parte di tali investimenti, aggiungono, non hanno carattere speculativo, ma «previdenziale»: costituiscono una sorta di «terzo pilastro» al posto del secondo pilastro mai decollato, i fondi pensione. Non stiamo parlando dunque di attività speculative appannaggio di «furbi o furbetti» da colpire.
In Europa e nel resto del mondo, dove prosperano i fondi pensione, il risparmio investito in attività finanziarie può avere funzione «speculativa», ma non in Italia. E infatti, la quota di obbligazioni, azioni e fondi comuni nei portafogli delle famiglie italiane (dati Bankitalia 2004, riportati nello studio) è stata del 52,2% del totale di tutte le attività finanziarie, a fronte di una media del 36,7% nell’area euro, e del 17,2% nel Regno Unito.
Né, a quanto pare, è credibile la parola d’ordine del governo: non è un aumento, ma un allineamento, in quanto si riduce dal 27 al 20% l’aliquota sui rendimenti dei conti correnti bancari. L’incidenza di questa riduzione è infatti quasi nulla, visto il livello prossimo allo zero dei tassi sui conti correnti. Secondo lo studio di Epistemes.org, a fronte di un vantaggio complessivo di 556 milioni di euro per la diminuzione dell’aliquota sui conti correnti, l’aggravio sugli investimenti finanziari ed assicurativi arriverebbe, a regime, a superare i 5 miliardi di euro. In moltissimi casi, anche di famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati, gli sconti fiscali Irpef verrebbero ridotti o anche completamente assorbiti dall’aggravio della tassazione sul risparmio. Ad esempio, la famiglia monoreddito di un impiegato con 28 mila euro di reddito, 2 figli a carico e con attività finanziarie nella media nazionale guadagna 516 euro dalla nuova Irpef, ma con l’aumento delle tasse sul risparmio, avrà un beneficio ridotto a 310 euro. Se lo stesso impiegato è single, avrà un saldo negativo di 146 euro. Se al posto del lavoratore abbiamo un pensionato senza carichi di famiglia, lo stesso reddito e investimenti finanziari nella media, questi subirà un aggravio di 163 euro (anzichè uno sgravio di 83 euro).
Vedremo come il governo interpreterà la delega sulla tassazione del risparmio. Nelle tabelle della Finanziaria, dalla nuova aliquota del 20% si attendono entrate aggiuntive per 1,1 miliardi di euro nel 2007. È probabile che questa cifra si riferisca soltanto a una parte dell’anno prossimo, visto che difficilmente il nuovo regime entrarà in vigore dal 1º gennaio. Negli anni successivi, di conseguenza, il fisco incasserà molto di più.