Episodi come quello accaduto ieri a Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, ci devono spingere a riflettere ancor di più sulle esplosive contraddizioni del nostro tempo.L’uomo sserragliato che prende in ostaggio un impiegato è un topos della cinematografia americana ma tutto sommato, e fortunatamente, per la società italiana è quasi un inedito.
Azioni di quel tipo, quando capitano, a condurle sono dei rapinatori non certo dei contribuenti, siano pure essi morosi. Se i ruoli cambiano fino a questo punto è la dimostrazione che la società vive in una condizione di stress che ha pochi precedenti nella storia recente del Paese, anche perché in questa congiuntura la percezione di solitudine si coniuga con un pericoloso vuoto di autorità.
Il governo tecnico si batte con tenacia per avanzare sulla strada del risanamento ma ha perso con il tempo quell’aura quasi sacrale che ne aveva aiutato non poco la partenza. La politica professionale non riesce ad essere pienamente credibile e comunque non pare aver recuperato i suoi canali diretti di comunicazione con il popolo. Le stesse associazioni di rappresentanza sono sicuramente in campo ma bucano sempre meno l’attenzione del cittadino comune. Prevale in loro e in tutti noi la logica delle continuità organizzative. È importante proseguire la recita anche se il pubblico guarda altrove.
Quanto è stato rituale, ad esempio, lo scorso Primo Maggio? E quanto sono inutili le centinaia di convegni dal tema più o meno azzeccato e che si continuano a tenere ogni giorno per discutere tra addetti ai lavori? Al di fuori da quegli schemi, oltre quelle slide e quei saloni c’è una società indifesa che nutre sempre meno speranze di riscatto collettivo e/o comunitario e che è portata a privatizzare i suoi conflitti e i suoi rancori. La stessa frequenza dei suicidi – che organizzazioni responsabili farebbero bene a non enfatizzare e, sicuramente, a non usare come strumento di lotta politica – è il segno di una distanza crescente tra i diversi piani della società, di una rete di rapporti che si sta smagliando e che nessuno sembra avere la forza e la pazienza di rammendare.
Ed è questa in fondo l’impressione che si ha leggendo le cronache, guardando i talk show televisivi, seguendo la campagna elettorale. Tutti preferiscono scucire, invocare lo sciopero, dichiararsi indignati, promettere vendette, alzare la voce, citare dati a vanvera, cercarsi un avversario. In pochi fanno i sarti, dedicano il loro tempo e parte del loro potere per ascoltare, avanzare proposte sensate e soprattutto ricucire i legami che si sono allentati, le solidarietà che sono saltate. Pochi lavorano per ricostruire quel rispetto reciproco che manca. Ma se le classi dirigenti diffuse sul territorio o nelle organizzazioni si dimettono dalle loro responsabilità il messaggio che arriva ai tanti uomini soli di questo nostro tempo è solo un assordante rumore. Ci vedono affaccendati in altro, ci sentono urlare e loro finiscono per rimanere totalmente in ostaggio della propria disperazione. Dovremo evitarlo e per cominciare a farlo non è mai troppo tardi.
Tanti urlatori, ma e’ saltata ogni solidarieta’
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