Nei giorni scorsi alcune considerazioni di Mario Monti sullinsostenibilità finanziaria del sistema sanitario nazionale (SSN) in conseguenza degli andamenti demografici, delle conseguenze dellinvecchiamento della popolazione e della crisi di risorse pubbliche hanno suscitato tante proteste, sostanzialmente ideologiche, da parte di settori della sinistra e della Cgil. Eppure, il premier si era limitato ad esprimere opinioni sostenute da tutte le analisi e le previsioni degli osservatori italiani, europei ed internazionali nonché avvalorate da una vasta letteratura scientifica ed economica.
Che cosa dire? La sinistra politica e sindacale trova sempre un muro di Berlino da erigere e difendere. Del resto, fu proprio Enrico Berlinguer, nel 1978, a dichiarare che nella istituzione del SSN erano presenti
In un saggio (Dal welfare di cittadinanza al welfare nel lavoro? Contrattazione collettiva e iniziativa dimpresa in Italia, scritto da Ugo Ascoli, Maria Luisa Mirabile, Emmanuele Pavolini) vengono descritti e commentati i risultati di una indagine dellIres, il centro studi della Cgil stessa, condotta su di un campione stratificato per settore ed area geografica di 318 grandi imprese italiana (con almeno 500 addetti) appartenenti a tutti i settori delleconomia.
Ne deriva, in primo luogo, che praticamente la quasi totalità delle aziende (95,2%) ha introdotto qualche forma di welfare privato. Escludendo il tema delle pensioni complementari (quello più consolidato e regolato nel contesto del sistema pensionistico nel suo complesso) il numero delle aziende interessate si riduce pur sempre all80%, una percentuale più che rilevante.
Nel 2012, la natura degli interventi di welfare allinterno delle aziende di grandi dimensioni è così ripartita: l87,5% partecipa ad un fondo pensione, il 60,6% ad un fondo sanitario, il 39% si avvale di un sistema di prestiti agevolati, il 27,6% ha messo a disposizione dei propri dipendenti congedi extra, il 24,4% fornisce agevolazioni al consumo, il 23,3 % eroga misure di sostegno al reddito, il 23,1% borse di studio, il 18,5% servizi di cura per linfanzia, il 9,4% ha un fondo per long-term care, il 6,7% favorisce luso di alloggi. Come si vede, oltre il 60% delle grandi imprese italiane assicura ai propri dipendenti un assistenza sanitaria privata (nel fascicolo è contenuta unampia rassegna delle forme esistenti, delle prestazioni erogate, delle modalità di funzionamento e dei relativi costi a carico delle imprese e, parzialmente, dei lavoratori).
Un altro aspetto meritevole di attenzione, che emerge dallindagine, riguarda la presenza (66,8%) di fondi di previdenza sanitaria integrativa nei contratti nazionali di categoria e larco temporale in cui il servizio è stato istituito. Prima del 2001 si trattava di una presenza praticamente dimezzata (35,4%), mentre una forte accelerazione si è avuta tra il 2006 e il 2012. Come per gli altri interventi di welfare privato, anche in questo campo, le aziende sono più disposte a concedere prestazioni sociali che godono di incentivi e di vantaggi fiscali – piuttosto che aumenti retributivi. Lo stesso gradimento vale anche per i lavoratori dal momento che la presenza di benefit e di servizi di welfare aziendale è maggiore nelle imprese con un alto tasso di sindacalizzazione (oltre il 40%). Certo, gli autori fanno notare che le prestazioni sociali a livello aziendale finiscono per favorire gli insiders e gli assunti a tempo indeterminato.
Tuttavia, non avrebbe senso sosteniamo noi imporre uneguaglianza ragguagliata ai disservizi del modello pubblico. E ugualmente vero, però, che non si potrà mai costruire un sistema alternativo basato sulla frammentazione degli interventi, che adesso rappresentano una risposta ancora parziale ad un profondo disagio sociale determinato dal peso del fisco e dalle inefficienze del sistema universalistico pubblico. Ma si pone davvero lesigenza di una nuova actio finium regundorum tra il ruolo pubblico e quello privato nella sanità.
In Italia non è solo in crescita, rispetto al pil, la spesa sanitaria pubblica; lo è anche quella privata (oltre il 2% del pil) sostenuta largamente out of pocket dalle famiglie. Una spesa molto spesso indirizzata ad acquistare beni e servizi già garantiti dal sistema pubblico. Si profila dunque la necessità di una razionalizzazione, stabilendo quale ambito di intervento e per quali soggetti vadano assicurate le prestazioni garantite dal SSN, lasciando il resto alliniziativa privata collettiva ed individuale. In sostanza, si tratterebbe di organizzare, nellinteresse della tutela della salute, dellefficienza dei servizi e del risparmio dei costi sostenuti, il welfare di mano pubblica e quello assicurato tramite strumenti privatistici.
Sul welfare e sanita’ non bocciamo il “montismo”
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