• sabato , 21 Dicembre 2024

Sugli “esodati”e non solo il governo Monti dà mostra delle prime difficoltà

Il Governo Monti ha esaurito la . Sta per iniziare il , pur se la protezione mediatica-lobbistica di cui gode è ancora molto forte e determinata, fino ad essere un bel po’ inquietante. Presto inizierà l’ordinaria amministrazione che durerà fino alle elezioni della primavera prossima, ammesso che le condizioni del Paese lo consentano e non impongano ulteriori emergenze che, in siffatte circostanze, non sapremmo come gestire, dal momento che non è possibile il commissariamento dei commissari.
Alla base delle difficoltà dell’esecutivo non c’è soltanto la brutta figura fatta con la riforma del mercato del lavoro, dopo lunghe settimane di confronto con le parti sociali da cui è scaturito un documento che, nella parte dedicata ai c.d. contratti atipici, sembra scritto da un ispettore dell’Inps a cui è stata inculcata la seguente mission: chiunque respiri è un lavoratore dipendente a tempo indeterminato. Tutto ciò, mentre nella parte rivolta a riformare l’articolo 18 il Governo si è infilato in una mediazione arzigogolata da cui scaturisce una soluzione talmente confusa da offrire qualche argomento inconfutabile al conservatorismo della sinistra. Per di più, non ha neppure trovato il coraggio di mettere tutti davanti al fatto compiuto varando la riforma con decreto legge.
Con un provvedimento legislativo ordinario Monti si è messo nelle mani dei partiti, i quali – ci auguriamo – sapranno trovare una mediazione sull’insieme dei temi affrontati e non solo sugli aspetti emblematici dell’articolo 18. Il centro destra, se conserverà un barlume di lucidità, pretenderà sicuramente una revisione delle norme sulla flessibilità in entrata, in senso meno giacobino, nell’interesse delle imprese e quindi anche dei lavoratori. Ma su questi temi abbiamo già avuto occasione di scrivere.
Le novità intervenute negli ultimi giorni sono importanti perché gettano un cono d’ombra sull’operazione che e’ stato il fiore all’occhiello del Governo: la riforma delle pensioni. Con uno spregiudicato intento scandalistico alcuni programmi televisivi ed alcuni quotidiani hanno messo in luce (in verità la questione era nota) una preoccupante conseguenza della riforma Fornero: il rischio che alcune centinaia di migliaia di persone rimangano, per anni, senza lavoro, senza ammortizzatori sociali e senza pensione. La storia va raccontata con precisione e correttezza.
La riforma è intervenuta pesantemente sui requisiti del pensionamento, specie per quanto riguarda l’età pensionabile. E correttamente il Governo si è posto il problema di salvaguardare, garantendo loro il diritto di andare in quiescenza con i previgenti requisiti, quanti hanno perso il lavoro. Così sono state individuate alcune deroghe a favore delle seguenti categorie: i lavoratori in mobilità; quelli in prosecuzione volontaria e quelli inseriti in fondi di solidarietà (una sorta di prepensionamento a carico delle banche). Una volta approvato, con il voto di fiducia, il decreto Salva Italia, ci si è accorti che c’era un’altra categoria di lavoratori in grave difficoltà: quelli che avevano sottoscritto degli accordi di esodo con i loro datori, negoziando extraliquidazioni a copertura del periodo che li separava dall’accesso alle pensione (che, a seguito delle nuove regole, si allontanava nel tempo).
Sotto la pressione dei partiti, si è affrontata la questione, impropriamente, nel decreto Milleproroghe, includendo i c.d. esodati (con l’indicazione di alcuni criteri di individuazione da perfezionare con un decreto ministeriale entro giugno) nel dei derogati, senza implementare la copertura finanziaria prevista, informalmente rapportata a 65mila casi. Recentemente, in seguito ad una fuga di notizie (che, sia l’Inps, sia il ministero non hanno smentito), pare che nel complesso i (per mobilità, prosecuzione volontaria, solidarietà, esodi) siano più di 350mila. Questi lavoratori risultano coperti da un quadro normativo che assicura loro di poter avvalersi delle previgenti regole (l’allarmismo è in parte ingiustificato), ma hanno uno stanziamento finanziario sicuramente insufficiente. La legge prevede, a fronte di tale evenienza, che la copertura venga assicurata tramite un incremento della contribuzione per la disoccupazione e gli altri ammortizzatori sociali. I
l Governo si è riservato di provvedere in qualche modo nel decreto di giugno, ma la situazione è complessa sul piano politico. Di ammortizzatori sociali, infatti, si parla anche sul tavolo del mercato del lavoro. Ecco allora la trappola: non si può escludere che l’incremento delle aliquote contributive, anziché servire al riordino degli ammortizzatori sociali, venga dirottato a coprire il buco creato di . Non fa comunque una bella figura un Governo che, in piena recessione, deve trovare, di qui a giugno, un finanziamento straordinario (si parla di 700 milioni) per risolvere il dramma di centinaia di migliaia di lavoratori che temono di finire in una terra di nessuno privi di reddito, di lavoro e di pensione. Intanto si sono ipotecate risorse per 1,7 miliardi a regime per gli ammortizzatori sociali sul fronte del mercato del lavoro.
Ma questa strettoia, da cui ci auguriamo l’esecutivo sia capace di uscire, mette chiaramente in luce un aspetto di carattere più strutturale che si traduce in un vero e proprio giudizio politico: non ha un senso compiuto dare corso ad una riforma ritenuta la più severa in Europa; tanto severa da richiedere che non si applichi a centinaia di migliaia di persone. Non ha un senso compiuto che si debbano usare importanti risorse (non ancora disponibili) per escluderne dall’applicazione una platea enorme di soggetti interessati (scontentandone altrettanti i cui casi non possono essere presi in considerazione per tanti motivi pratici ed economici). Sarebbe stato molto meglio impostare un percorso più graduale di riforma, dando modo al sistema pensionistico di gestire la fase di transizione senza porre problemi molto seri ai cittadini e alle loro famiglie.
E’ difficile che il Governo ritorni sui suoi passi e corregga la riforma anziché arrabattarsi nel complicato intreccio delle deroghe. L’Europa ci guarda – dicono – i mercati non ci perderebbero un passo indietro anche parziale. E’ credibile, però, che la Ue e i mercati non si accorgano di quanto sta alle spalle della facciata della riforma ?

Fonte: Occidentale del 2 aprile 2012

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