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“Subito la riforma delle Popolari”

E’«indispensabile» una modifica normativa per adeguare ordinamento e governance delle banche popolari. A due giorni dall’assemblea straordinaria di Bpm che ha come piatto forte la proposta di portare il numero delle deleghe da tre a cinque, oltre che un aumento di capitale da 1200 milioni di euro, ieri la Banca d’Italia ha parlato forte e chiaro attraverso la voce di Anna Maria Tarantola, vice direttore generale della Banca d’Italia. «Le banche popolari – ha detto l’esponente del Direttorio di via Nazionale nel corso di un’audizione presso la commissione Finanze e Tesoro del senato – hanno assunto una valenza sistemica nella nostra economia; la loro sana e prudente gestione ha quindi un ruolo cruciale». Per questo motivo «adottare forme di governo che permettano un adeguato scrutinio del mercato e soddisfino le esigenze di rappresentatività degli investitori è un percorso imprescindibile per assicurare sia i necessari rafforzamenti del capitale sia la copertura delle esigenze di raccolta di fondi sui mercati». La Banca d’Italia, ha spiegato nel corso dell’audizione Tarantola, valuta “positivamente” un adeguamento dell’ordinamento delle banche popolari. Infatti, gli sforzi finora compiuti per migliorare l’assetto di governo “a legislazione data” hanno consentito «alcuni progressi ma solo una modifica normativa può imprimere una spinta decisiva alla rimozione degli ostacoli ancora esistenti ad un effettivo controllo da parte degli azionisti, al ricambio del management inefficiente, al necessario rafforzamento patrimoniale». Per Bankitalia è «indispensabile superare queste difficoltà». Tarantola ha elencato cinque direttrici lungo le quali si dovrebbe muovere l’intervento legislativo: innalzamento dei limiti al possesso azionario, soprattutto per le società quotate, riconoscimento agli investitori istituzionali di «strumenti idonei a proteggere il valore del capitale da essi apportato», libera trasferibilità delle azioni e semplificazione dell’iter procedurale di ammissione a socio, trasformazione delle popolari in società per azioni, favorire la partecipazione degli azionisti alle assemblee.
Per quanto riguarda il primo aspetto «per tener conto delle diverse esigenze e caratteristiche dimensionali – ha sottolineato – potrebbe essere rimessa allo statuto la definizione del limite, entro un range indicato dalla legge (ad esempio, dal minimo dello 0,5% attualmente previsto dal Tub sino a un massimo del 3 per cento). Maggiori possibilità di possesso azionario – ha aggiunto Tarantola – andrebbero riconosciute agli investitori istituzionali, per i quali potrebbe essere opportuno fissare per legge un limite, inderogabile, più elevato di quello massimo previsto per le altre categorie di azionisti».
Secondo quanto riferito dalla senatrice Maria Ida Germontani (Fli) all’agenzia Radiocor, inoltre, Tarantola ha rivelato che «non ci sono preclusioni» da parte della Banca d’Italia alla partecipazione delle Fondazioni bancarie al capitale azionario delle banche popolari.
Quanto al ruolo degli investitori istituzionali, Tarantola ha spiegato che «per garantire condizioni più agevoli di sostegno patrimoniale non basta elevare i limiti all’investimento, ma è anche necessario riconoscere agli investitori strumenti idonei a proteggere il valore del capitale da essi apportato». Bankitalia é quindi «favorevole alle proposte di riservare loro la nomina di uno o più esponenti negli organi di amministrazione e controllo della banca. Ne risulterebbe rafforzata la capacità di stimolo e monitoraggio sull’operato del management, creando condizioni di maggiore dialettica e confronto all’interno degli organi di amministrazione». Tarantola ha poi affermato che «non siamo contrari alle proposte che permettono la trasformazione volontaria da banca popolare a società per azioni (ora possibile solo per finalità di vigilanza), soprattutto nel caso di banche popolari grandi e quotate». Per fronteggiare la scarsa partecipazione dei soci in assemblea, i rimedi possono essere diversi: «Può essere accresciuta la possibilità per un socio di farsi rappresentare attraverso il conferimento di una delega». Potrebbe inoltre «essere opportuno prevedere che lo statuto delle banche popolari si attesti su un numero di deleghe superiore a quello in media rilevato dalle nostre analisi»: da esse infatti risulta che nel 2011 il numero medio delle deleghe nelle banche popolari quotate è inferiore a quello delle non quotate ed è pari a 3,3 contro 4,5 nelle non quotate.

Fonte: Sole 24 Ore del 23 giugno 2011

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