Le manifestazioni di protesta riempiono le piazze, la disoccupazione aumenta, il Pil continua a scendere: ma il peggio, per lItalia, deve ancora venire.
Per pensarlo basta guardare un grafico dello studio Ocse appena diffuso, Responding to the crisis: what are OECD countries doing to strengthen their public finances? (Le risposte alla crisi: che cosa stanno facendo i paesi Ocse per rafforzare le loro finanze pubbliche?). Il grafico mostra lentità, in rapporto al Pil, delle manovre già fatte tra il 2009 e il 2011 e di quelle pianificate per il quadriennio 2012-2015.
Nel grafico si vede (parte azzurra delle barre) che fino al 2011 lItalia aveva fatto poco o niente rispetto agli altri paesi, specie se il confronto è con quelli in maggiori difficoltà. Non era per antipatia, dunque, che i partner europei ce lavevano tanto con Berlusconi. Poi è arrivato Monti e le manovre le ha fatte, allineandosi come dimensione complessiva, più o meno, agli altri paesi europei. Niente di comparabile a quelle di Grecia, Irlanda e Portogallo, comunque, e meno anche della Spagna e della Gran Bretagna.
Non ci dobbiamo lamentare, allora? Per rispondere bisogna fare due considerazioni. La prima è che, essendo rimasti indietro fino al 2011, per il quadriennio 12-15 la nostra stretta è la più pesante di tutte, a parte i tre paesi sullorlo del default: più pesante anche di quelle spagnola e inglese. Ciò significa che la nostra economia sarà frenata di più e più a lungo e francamente risulta difficile capire su quali basi Mario Monti possa dire che si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel. Si è portati, per una volta, ad essere daccordo con la replica di Sergio Marchionne: Se cè una luce, è il treno che arriva.
La seconda considerazione è più generale. Siamo in gran parte costretti ad attuare questa politica perché è quella scelta e imposta dalla Commissione Ue, dalla Bce e dai partner europei più forti, Germania in testa. Ma se una politica è sbagliata, il fatto che tutti o quasi concordino di attuarla non la rende più giusta. Anzi, peggiora la situazione. I leader politici e tecnici sembrano aver dimenticato la lezione della crisi del 29: tutti gli storici delleconomia concordano sul fatto che precipitò a causa della fretta eccessiva con cui il presidente americano Herbert Hoover decise di rientrare dal deficit di bilancio. Non a caso, è un errore che finora lAmerica di Obama non ha ripetuto, fiscal cliff permettendo. E il presidente della Fed Ben Bernanke, che da professore ha studiato in particolare proprio la crisi del 29, ha appena fatto un appello in proposito.
Che cosa comporta questa politica? Basta guardare un altro grafico, elaborato dalleconomista del Cerm Nicola Salerno, per capirlo. Mostra landamento di fatturato e ordini dellindustria, distinguendo tra quelli interni e quelli che vengono dallestero.
Il grafico ci dice che il mercato interno continua a crollare e ha ormai quasi raggiunto i minimi toccati allinizio della crisi, nel 2009. Le manovre hanno prosciugato la domanda interna, chi non esporta è perduto. Via di questo passo, avremo forse conti pubblici più in ordine (ma non è detto, perché la recessione fa diminuire le entrate, che richiedono altre manovre, che accentuano la recessione… Lormai noto circolo vizioso), ma avremo perso un bel pezzo delle imprese. Finora ci ha salvato lestero, ma, grazie a queste politiche restrittive generalizzate, anche lì sono cominciate le difficoltà.
Fin dallinizio della crisi era chiaro per qualcuno (per altri invece no) che ci sarebbero voluti anni per riassorbirla, dati i pesanti squilibri che lavevano provocata. Siamo ormai nel sesto anno, e la fine ancora non si vede. Perseverare in politiche sbagliate allungherà ancora i tempi di guarigione.
Stretta, il peggio deve ancora venire
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