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Stati Uniti: l’autonomia di Obama spegne il sole

Nuovi giacimenti petroliferi e «shale gas» contro il fotovoltaico.Non saranno le «rinnovabili» a coprire tutto il fabbisogno.
Rilanciare l’occupazione e la produzione industriale, combattere l’inquinamento e conquistare l’indipendenza energetica grazie a investimenti massicci nelle energie alternative. Dopo la campagna elettorale del 2008, quella della speranza e delle promesse di grandi cambiamenti, con l’avvento dell’era Obama il destino energetico dell’America sembrava poter cambiare radicalmente: decine di miliardi di dollari dello «stimolo» fiscale (il pacchetto di misure varate dalla Casa Bianca all’inizio del 2009 per combattere la recessione) impegnati per l’energia eolica, gli impianti solari e per sostituire una rete elettrica ormai fatiscente con un nuovo «network» moderno e «intelligente». Vecchi stabilimenti abbandonati da imprese meccaniche ed elettriche della «rust belt», il Nord-Est americano che sta perdendo le sue industrie, improvvisamente rivitalizzati dalla produzione di pannelli solari. E la Silicon Valley del software e dell’economia digitale che si trasforma almeno in parte in «green valley»: il laboratorio delle nuove tecnologie «verdi».
A distanza di tre anni il futuro energetico degli Stati Uniti è davvero cambiato, l’autonomia dal petrolio mediorientale (e da quello venezuelano di Hugo Chavez) è effettivamente a portata di mano. Ma non per merito delle fonti «rinnovabili».
La scoperta di nuovi, giganteschi giacimenti petroliferi soprattutto in North Dakota e in Montana e il diffondersi delle nuove tecniche di recupero dello «shale gas» – metano che prima era considerato difficile da recuperare perché intrappolato in rocce e argille a grande profondità e che invece adesso è divenuto estraibile utilizzando le tecniche di fatturazione del sottosuolo – hanno cambiato le prospettive energetiche dell’America.
Anche se molti osteggiano le nuove tecniche di estrazione, considerate un’altra ferita inferta alla Terra, la prospettiva dell’indipendenza energetica è troppo ghiotta perché il presidente che guida un Paese sprofondato in una crisi economica senza precedenti se la possa lasciare sfuggire. Tanto più che la sua rielezione dipende in misura consistente dal voto di diversi Stati-chiave, oggi «in bilico» o con una stretta maggioranza democratica, la cui economia è alimentata dal carbone e da altri combustibili fossili dal costo abbastanza contenuto.
Ma se eolico e solare sono finiti un po’ in ombra rispetto alle promesse del 2009, ciò non dipende solo dalla riscossa dei combustibili tradizionali: contano molto anche i malfunzionamenti dei meccanismi d’intervento pubblico a sostegno degli investimenti in questi settori. E pesa anche la rapidissima crescita dell’industria solare cinese i cui pannelli fotovoltaici hanno creato enormi difficoltà a quelli prodotti negli «States».
I nuovi stabilimenti mettono sul mercato pannelli e pale eoliche a buon ritmo, ma, operando in un settore che non può competere in termini di costi con le fonti energetiche basate sui combustibili fossili e incalzati dalla concorrenza cinese, hanno sempre più bisogno di sovvenzioni pubbliche per stare in piedi. Un modello che non può essere sostenuto a lungo, anche perché lo Stato federale, ormai gravato da un debito pubblico enorme, prima o poi dovrà ridurre o addirittura abolire tutti questi tipi di incentivazione. Non passa giorno che il «Wall Street Journal» non chieda l’eliminazione di quello che chiama il «Corporate Welfare State»: un vasto mosaico di aiuti e incentivi concessi a vari settori. Da quello dei biocarburanti (6 miliardi di dollari versati ogni anno all’industria dell’etanolo) agli aiuti alle aziende di telecomunicazione che portano la banda larga nelle zone rurali. Passando per i grossi sussidi garantiti alle industrie dell’auto che producono vetture elettriche o veicoli dai consumi molto contenuti. E per quelle del sole e del vento.
Che fin qui sono state difese dal governo. Ma tutto è divenuto più difficile dopo lo scandalo Solyndra: il gigante dei pannelli solari fallito dopo aver ricevuto oltre mezzo miliardo di dollari di sussidi dalla Casa Bianca. Che ha continuato a «foraggiare» l’azienda – col presidente Obama e il suo vice, Joe Biden, che hanno usato gli stabilimenti solari come palcoscenico per la loro campagna elettorale – anche dopo che gli ispettori governativi avevano avvertito: questa è un’azienda che sta affondando, solo l’assistenza pubblica la tiene a galla.
LE CIFRE
67% tanto è cresciuto nel solo 2010 il mercato dell’energia solare negli Usa: un giro d’affari di oltre 6 miliardi di dollari
70% è la quota dell’elettricità prodotta nello Stato di Washington fornita da impianti idroelettrici
50 i miliardi della spesa in dollari che gli Stati Uniti hanno investito nel 2007 per la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia eolica sul territorio

Fonte: Corriere della Sera del 9 dicembre 2011

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