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Spingere sulle aggregazioni per rilanciare la competitiita’

Il nostro sistema produttivo riesce a difendersi nella crisi, ma serve una moderna politica industriale per promuoverne ancor più competitività internazionale e dinamismo innovativo.
Recentissime elaborazioni che l’Istat ha tratto dai dati di Censimento 2011 dell’industria e dei servizi, riguardanti un cospicuo campione di 260.000 imprese – che verrà presentato in un convegno Istat a Milano il prossimo 28 novembre – suggeriscono almeno tre messaggi intorno al tema dell’interconnessione tra imprese e con l’ambiente esterno, come fattore di successo competitivo. Si parla non solo dei normali rapporti di commessa e subfornitura, ma più in generale di accordi formali (contratti di rete) e informali che spaziano da ricerca e progettazione a infrastrutture informatiche, commercio elettronico, formazione del personale, approvvigionamento, logistica, distribuzione e servizi post-vendita, servizi tecnologici e professionali.
Primo messaggio: imprese più in grado di interconnettersi con l’ambiente esterno fanno più innovazione di prodotto e di processo.
Secondo messaggio: reciprocamente, maggiore interconnessione genera maggiore competitività sul mercato interno e soprattutto sui mercati esteri.
Terzo messaggio (quasi scontato): la capacità di operare in connessione ambientale aumenta al crescere della dimensione media dell’impresa in termini di addetti e fatturato.
Il quadro si arricchisce con altre informazioni che si possono trarre dai nuovi dati OECD-WTO sul contenuto di valore aggiunto dei flussi di commercio estero (“trade in value added”). Questi dati – pur soggetti a probabili revisioni di coerenza e attendibilità – gettano luce sulle cosiddette “catene globali del valore”, rivelando quanto valore aggiunto (in ultima analisi PIL) di un paese viene incorporato non solo nelle sue esportazioni dirette, ma anche nelle esportazioni di altri paesi che utilizzano prodotti intermedi (componenti, semilavorati, materiali) importati dal primo paese. Simmetricamente questi dati rivelano quanta parte delle esportazioni (circa il 20% per l’Italia) consiste in valore aggiunto altrui incorporato nei prodotti intermedi e nei servizi (tra cui licenze d’uso di tecnologie) che vengono importati per produrre quei beni. Così scopriamo, ad esempio, che gli USA sono il nostro primo mercato di sbocco (non il terzo dopo Germania e Francia come risulta dalle statistiche doganali) se misurato in termini di valore aggiunto italiano contenuto nei nostri moltissimi prodotti intermedi utilizzati da Germania, Francia, Regno Unito, Polonia, Cina, Corea ecc. quando producono per esportare negli stessi USA. Le catene globali del valore sono dunque un potente veicolo perché anche imprese minori delle famose nicchie specializzate (anche di tecnologia sofisticata) si inseriscano nel grande gioco competitivo dei mercati più promettenti. Sia la vecchia indagine Bruegel-EFIGE su sette paesi europei, sia il primo “Rapporto Istat sulla competitività delle imprese italiane” del gennaio 2013 fanno emergere quanto più produttive e dinamiche siano le imprese che scelgono forme organizzative e manageriali sempre più complesse di internazionalizzazione, combinando le esportazioni con accordi di fornitura internazionale e investimenti diretti esteri.
Cosa ne discende per una moderna politica industriale che non voglia solo giocare in difesa e al soccorso di situazioni di crisi aziendale, ma spingere decisamente l’intero sistema produttivo a partecipare attivamente e nei segmenti più alti delle catene di valore? Occorre favorire al massimo aggregazione e interconnessione tra imprese, coltivando i nostri vantaggi competitivi attuali e potenziali. Non bastano nemmeno crediti d’imposta per complessivi 200 milioni all’anno per tre anni con un massimale di 2,5 milioni per impresa: impatto atteso forse significativo per micro e piccole imprese, ma scarsamente rilevante per le medie e grandi imprese che devono impegnarsi in ambiziosi progetti innovativi, senza i quali non riusciremo ad agganciarci pienamente e credibilmente alle grandi filiere delle “tecnologie chiave abilitanti” che l’Europa di Horizon 2020 sta disegnando. Confidiamo nel concorso dei fondi europei per dare un colpo d’ala al nostro disegno di terzo o quarto paese manifatturiero del mondo.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 24 novembre 2013

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