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Sotto la cassa rispunta l’Iri

Per puntellare aziende e banche Tremonti vuole usare la Cassa depositi e prestiti. Ripensando all’Alitalia. E torna la polemica u quei 200 miliardi di euro si concentrano gli appetiti di politici, banchieri e imprenditori. ono i soldi che i risparmiatori hanno depositato agli sportelli postali e che la legge affida alla Cassa depositi e prestiti (Cdp) perché li faccia rendere. Fino a tre anni fa quei soldi potevano essere prestati solo allo Stato o agli enti locali (Comuni, Province, Regioni) perché non si potevano correre rischi sui risparmi dei clienti delle Poste, considerati i più deboli e sprovveduti. Poi la finanza creativa ha preso il sopravvento. E il governo ha cominciato a chiedersi: perché non sostituire i 122 miliardi (dati di giugno 2010) di raccolta postale che vanno a finanziare il debito pubblico con titoli emessi dal Tesoro e utilizzare i fondi così “liberati” per sostenere l’economia? L’idea ha fatto subito breccia: in tempi di magra e di scarsissima propensione al rischio la disponibilità di un capiente serbatoio di benzina poco costosa fa comodo alle imprese affamate di capitali e alle banche costrette a stringere i cordoni della borsa. L’operazione però deve essere effettuata gradualmente perché presenta delle controindicazioni. E vero che sostituendo il risparmio postale con titoli (Bot, Cct, Btp) il debito pubblico non aumenta ma il costo è superiore (i titoli rendono più del risparmio postale a chi li sottoscrive), la diversificazione delle fonti di finanziamento si riduce e la pressione sul mercato (quantità di emissioni offerte) aumenta. Ma una volta aperta la strada le “mansioni” affidate alla Cdp sono via via cresciute: sostegno alle piccole e medie imprese con capitale di rischio (private equity) e di credito, ricostruzione dell’Abruzzo dopo il terremoto, finanziamento delle infrastrutture, social housing (edilizia sociale), innovazione e ricerca, forme di partenariato pubblico-privato. Fino al grande salto di questi giorni: il progetto del ministro dell’Economia Giulio Tremonti di fare dalla Cdp il perno della sua strategia di difesa del sistema industriale e finanziario italiano, l’argine contro le invasioni barbariche, soprattutto galliche, nell’industria alimentare e nell’energia, il puntello alle banche chiamate a un colossale sforzo di ricapitalizzazio-ne dopo la crisi finanziaria. Sabato 2 aprile Tremonti è arrivato a rimpiangere I’Iri e la Mediobanca di Enrico Cuccia, «strutture», ha detto il ministro, «capaci di organizzare il sistema», che farebbero comodo «in una competizione tra giganti». Il giorno dopo, con un’intervista a Massimo Gian- I capitali privati non si mobilitano a difesa delle scalate. Così il governo ricorre ai fondi della Cdp che non incidono sul debito pubblico nini su “Repubblica”, ha cercato di attenuare un po’ i toni. Ma ormai il dado è tratto: la Cdp, attraverso un suo braccio operativo modellato sul Fond stratégique d’investissement francese, sarà protagonista delle operazioni difensive pilotate dal Tesoro quando si prospettano acquisizioni estere sgradite o è necessario dar man forte ai “campioni nazionale” dell’industria e della finanza. Dopo aver preso atto che i capitali privati italiani non si mobilitano a difesa del tricolore, Tremonti ha deciso di correre ai ripari. L’attacco simultaneo dei francesi alla Parmalat e alla Edison non poteva passare senza uno straccio di risposta. II bilancio dello Stato non offre margini, anzi: lì bisogna tagliare, più che inventare nuove spese. Ma l’appendice Cdp sì. La vecchia (ha 160 anni) quasi-banca del Tesoro è fuori dal perimetro pubblico da quando il 30 per cento delle sue azioni sono state acquistate dalle fondazioni di orgine bancaria. E l’esca-motage ha funzionato: per esempio, il Tesoro ha ceduto alla Cdp alcune delle partecipazioni più importanti ottenendone in cambio dei soldi senza correre il rischio di perdere il controllo dell’Eni o di Terna, dato che chi comanda alla Cdp (il presidente Franco Bassanini e l’amministratore delegato Giovanni Gorno *** CASSA DEPOSITI E PRESTITI 1 a Tempini) risponde al ministro. Oggi la Cdp non può certo mettere sul piatto 5 miliardi per la Parmalat e altrettanti perla Edison. Può però fare da perno per una cordata italiana da contrapporre all’aggressore francese, contribuendo con una parte dei capitali necessari e garantendo la “benevolenza” del governo. E come se il modello Alitalia fosse istituzionalizzato mettendo la Cdp al posto o al fianco di Intesa Sanpaolo. «Attenzione però», spiega un ex-amministratore della Cdp, «già adesso il valore delle partecipazioni supera quello del patrimonio netto. Sarebbe buona norma non finanziare investimenti rischiosi e a lungo termine con una raccolta garantita dallo Stato e a breve termine». Ma l’urgenza di puntellare il sistema delle imprese che fatica a superare la batosta della recessione vince ogni remora. E l’emergenza nelle prossime settimane potrebbe estendersi anche alle banche. Glorificate per essere passate attraverso la crisi finanziaria senza gravi conseguenze, le banche italiane sono costrette a rafforzare la propria dotazione di capitale per effetto delle nuove e più severe regole. La Banca d’Italia sostiene che servono almeno 40 miliardi e non fa 11 sconti nonostante l’attività prevalente-4 mente commerciale (e non d’investi- mento) degli istituti italiani. Il guaio è • che i maggiori azionisti delle banche, quelli chiamati a sostenere lo sforzo maggiore della ricapitalizzazione, sono N. le fondazioni. La cui principale fonte di i reddito sono i dividendi delle banche stesse. Che però, da quando è cominciata la crisi, arrivano con il contagocce, quando arrivano. Le fondazioni fanno fatica a stanziare le somme necessarie, ma nello stesso tempo non vogliono mollare la presa. La Fondazione Mps, per esempio, ha chiesto al Tesoro di potersi indebitare con le banche per finanziare la sua quota di aumento di capitale del Montepaschi e non vedersi così diluire la partecipazione di controllo. E probabile che altre fondazioni siano costrette a fare la stessa cosa. Con il risultato che saranno proprio le banche a finanziare il loro aumento di capitale. Il Tesoro teme intromissioni sgradite e si tiene pronto a intervenire anche su questo fronte. Tanto più che le banche hanno dimostrato di essere preziose per quelle operazioni di sistema care al ministro Tremonti. Spesso al fianco di quella Cdp che, se non diventerà la nuova Iri, sarà qualcosa che le assomiglia molto.

Fonte: Espresso del 14 aprile 2011

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