di Bruno Costi
Come spesso accade nei momenti di caos creativo, dopo il Reddito di Inclusione e il Reddito di Cittadinanza, ora il lessico politico ha brevettato anche il Reddito d’Emergenza (Copyright Movimento Cinque Stelle) o “Reddito di Quarantena” (Copyright il sindaco di Napoli Luigi De Magistris), ovvero un assegno che lo Stato dovrebbe consegnare a tutti coloro che, non avendo potuto fare un secondo lavoro illegale, svolgere un’attività abusiva, arrangiarsi con lavori saltuari, con il lockdown di fatto non guadagnano un euro da circa un paio di mesi.
Naturalmente si tratta di un problema molto serio, perchè in molti casi si traduce nell’improvvisa mancanza di denaro per esigenze basiche come mangiare, pagare le bollette, sostenere figli o parenti bisognosi, e come tale è un problema che la collettività non può ignorare.
Ma si tratta pur sempre di sussidi, un “regalo” che lo Stato dovrebbe erogare a chi non ha mai pagato le tasse, ha evaso contributi, ha violato le leggi, sia pure a volte per necessità, forse anche a fiancheggiatori di Mafia, Ndrangheta e Camorra, pur avendo avuto sempre accesso gratuito agli ospedali, usato il trasporto pubblico, fatto una denuncia ai Carabinieri, usufruito, in sintesi, di tutto ciò che lo Stato dà ai cittadini in cambio delle imposte.
Discorso scomodo, ovviamente, ma non infondato e non sempre accettabile, soprattutto da parte di quella stragrande maggioranza di lavoratori e cittadini italiani in regola con leggi e imposte, i quali potrebbero ritenere iniquo un intervento a spese loro.
Ma se è vero che ogni crisi offre anche straordinarie opportunità, ce n’è una che potrebbe contribuire a risolvere anche l’annoso problema del “lavoro nero” in Italia, uno “scherzo” che vale 200 miliardi , poco meno di un sesto della ricchezza che riusciremo a produrre nel 2020.
La Costituzione italiana recita che il fine della detenzione non è quello che tenere in carcere un delinquente per tutta la vita ma rieducarlo affinchè si ravveda e rientri nella legalità. Ed allora, perchè non utilizzare lo stesso principio costituzionale ed erogare il prossimo Reddito d’Emergenza solo a quei lavoratori in nero che si ravvedono e decidono di regolarizzare la loro attività? E perchè non aiutarli a far nascere la loro impresa o attività, con tutte le agevolazioni che saremmo felci di dare a qualsiasi start up? E’ possibile introdurre un incentivo che ricordi una delle frasi più famose del Novecento, quella che John Fitzegardl Kennedy pronunciò nel 1961, il giorno del suo insediamento:”Non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te. Chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”?
Nelle stanze del Ministero dell’Economia sono in corso in questo momento valutazioni e febbrili trattative tra le forze politiche per decidere i contenuti del prossimo decreto legge di rilancio dell’attività economica. Appare quasi certo che una parte consistente dei 55 miliardi di spesa pubblica che stanno per essere distribuiti al Paese, sarà destinata a compensare aziende e cittadini dei minori incassi o fatturati causati dalla chiusura obbligata delle attività. Anche per coloro che lavoravano nel ”sommerso” prima dello stop, cioè al lavoro nero, si sta pensando di erogare un assegno forfettario tra i 400 e i 600 euro.
Non è poca cosa: tra secondo lavoro e lavoro in nero, il “sommerso” in Italia è popolato da 3 milioni e 700 mila persone, il 14% dei lavoratori, (il doppio di Francia e Germania) ; giovani, donne e pensionati residenti soprattutto in alcune zone d’Italia, dove il lavoro irregolare ha supplito alla mancanza di lavoro ufficiale.
Se dunque il Governo ritiene giusto farsi carico anche della loro sussistenza, sarebbe altrettanto opportuno accompagnare il sussidio ad un impegno di regolarizzazione del lavoro.
Ai tecnici la fantasia sugli strumenti da usare certamente non manca: si potrebbe creare un canale specifico di riammissione nella società del lavoro che consenta loro di accedere al prestito di 25 mila euro con garanzia dello Stato al 100%, di godere di un periodo di preammortamento nel quale per i primi anni non pagano le rate, di inserirsi nei canali di formazione professionale messi a regime dagli uffici per l’impiego e assegnare, come tutori e assistenti, i famosi navigator del Reddito di Cittadinanza che probabilmente ora girano i pollici. Insomma si potrebbe fare qualcosa di più che non semplicemente distribuire denaro in modo assistenziale. Per rispetto di chi lavora alla luce del sole pagando le imposte, e per l’Europa che non a caso tentenna quando chiediamo denaro a fondo perduto.
(www.clubeconomia.it del 29/4/2020)
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