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Soldi, bugie e intercettazioni. Vacilla anche Fox News

Nuove storie scovate da giornali come il New York Times , che annusano aria di rivincita dopo essere stati per anni nel mirino di Murdoch, si mescolano con vecchi scandali disinnescati dal gruppo News Corp ma che nel nuovo clima possono tornare a essere dirompenti. Lo «tsunami» che travolge l’ editore australiano a Londra rischia, infatti, di trasferirsi sull’ altro lato dell’ Atlantico. Per questo l’ audizione odierna dei dirigenti del gruppo e degli stessi Rupert e James Murdoch davanti al Parlamento britannico verrà seguita con enorme interesse anche a New York. Evento teletrasmesso in diretta in America dalla Cnn, altra grande nemica di Murdoch che l’ ha schiacciata per anni con la sua Fox News. Le storie che, in attesa delle indagini appena avviate dalle autorità federali Usa, cominciano a spuntare sulla stampa americana, si concentrano in modo particolare sulla figura di Roger Ailes, il «padre padrone» della rete superconservatrice Fox News: la corazzata del gruppo Murdoch negli Usa che commercialmente ha tritato la Cnn, mentre politicamente ha avuto effetti devastanti per il partito democratico (un occhio di riguardo per Bill e Hillary Clinton, un massacro quotidiano per Barack Obama). Ora viene, ad esempio, riesaminata la storia di Ailes che nel 2004 spinse Judith Regan, una dirigente di HarperCollins, la casa editrice libraria di NewsCorp, a mentire su Bernard Kerik, l’ ex capo della polizia di New York (ora finito in carcere) che in quel momento era sotto esame da parte degli investigatori federali dopo che il presidente Bush l’ aveva scelto come nuovo ministro della Homeland Security. C’ è poi Dan Cooper, un ex dirigente di Fox, licenziato nel 2008, che accusò Ailes di essersi procurato i tabulati telefonici di David Brock, un giornalista «liberal» che lo attaccava. Poca roba, minimizzano gli amici di Murdoch, ma per Carl Bernstein (il giornalista che, insieme a Woodward, scoprì il caso Watergate) quello che abbiamo sotto gli occhi è solo l’ inizio della valanga: «Un ex direttore di Murdoch mi ha spiegato che il gruppo si è sempre basato sul principio dell’ omertà. Ma ora che News Corp è costretta ad abbandonare al loro destino i dirigenti incriminati, la gente parla. Sembra un plotone d’ esecuzione disposto in cerchio, con tutti che si sparano addosso». Intanto sul New York Times David Carr racconta la storia di News America Marketing, una società di marketing del gruppo NewsCorp accusata più volte di aver schiacciato in modo illegale i suoi concorrenti. Storie ormai sepolte perché la holding di Murdoch ha versato centinaia di milioni di dollari per mettere a tacere Floorgraphics, Insigna Systems e Valassis Communications. «Ma se in Gran Bretagna lo scandalo è scoppiato perché NewsCorp ha cercato di nascondere i suoi illeciti con versamenti per appena 1,6 milioni di dollari, come si può pensare – si chiede Carr – che Rupert Murdoch non si sia accorto di nulla nel caso della News America che ha scavato un buco di ben 655 milioni di dollari di indennizzi nel bilancio del gruppo?». Murdoch sapeva e ha punito i responsabili? Non pare. Il capo della società di marketing, Paul Carlucci, è stato, anzi, premiato: dal 2005 somma alla responsabilità nella News America quella di «publisher» del New York Post . NewsCorp spera ancora di circoscrivere lo «tsunami» che ha devastato il gruppo in Gran Bretagna, evitando un effetto valanga capace di travolgere anche il cuore americano dell’ impero mediatico. Il gruppo sta reagendo anche con la creazione di una nuova struttura di comunicazione, ma ormai alcuni consiglieri indipendenti di News Corp (che è quotata in Borsa) si sarebbero convinti che è necessario un cambio radicale al vertice. Operazione complicata, anche perché Murdoch si era cautelato insediando un «board» composto in maggioranza da fedelissimi. Ma la situazione è profondamente cambiata con l’ incendio che in pochi giorni ha divorato l’ impero britannico del tycoon e l’ avvio da parte degli investigatori federali – quelli dell’ Fbi, della Sec (la Consob americana) e della Fcc, l’ Authority federale su tv e telecomunicazioni – di un’ indagine che deve verificare se le società americane del gruppo si sono macchiate di reati di spionaggio simili a quelli commessi in Gran Bretagna. Per adesso indizi concreti sui giornali americani del gruppo non ce ne sono: il Wall Street Journal viene accusato al massimo di aver minimizzato lo scandalo britannico, mentre anche i nemici di Murdoch riconoscono che il New York Post – che pure è considerato lo strumento culturale attraverso il quale il gossip volgare e vagamente ricattatorio è penetrato in tutta la stampa Usa – non ha geni spionistici nel suo Dna. Ma a far temere un effetto valanga capace di travolgere il figlio del capostipite James e forse lo stesso Rupert anche negli Usa ci sono i rapporto di osmosi del gruppo tra le due sponde dell’ Atlantico: stessa filosofia e passaggio di vari dirigenti britannici alla holding americana. Ma, soprattutto, pesa il «Foreign Corrupt Practices Act», la severissima legge Usa che punisce le imprese americane anche per i reati di corruzione commessi all’ estero: le vicende britanniche, insomma, potrebbero bastare a mettere Murdoch alle corde anche a New York.

Fonte: Corriere della Sera del 19 luglio 2011

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