• lunedì , 23 Dicembre 2024

Siamo in crisi perchè in economia è tornata a contare la stabilità degli Stai

L’Italia è sicuramente il classico vaso di coccio che viaggia insieme a vasi di bronzo (anche se, guardandosi attorno, pare che di quel robusto metallo si trovino tracce solo in Germania). Se volessimo azzardare un paragone calcistico potremmo paragonare il nostro Paese (che so?) al Bologna o al Chievo: squadre che all’inizio del campionato possono aspirare soltanto di rimanere in serie A, ma che rischiano di finire in zona retrocessione in conseguenza di un imprevisto incidente di percorso.
Eppure, nonostante questa sua fragilità, il nostro Paese resta uno dei primi al mondo quanto a produzione manifatturiera, ha affrontato la crisi, nei passaggi cruciali del biennio 2008-2009, in modo adeguato, evitando di farsi travolgere e di dover approntare misure straordinarie (in pratica la nazionalizzazione delle banche) come è accaduto in altre realtà. Non si dimentichi mai la gravità degli effetti improvvisi che la crisi finanziaria nella seconda metà del 2008 determinò sull’economia reale. Nel 2009, il Pil segnò un -5% , l’import un -14,5%, l’export un – 19,1%, i consumi finali un -1,2%, gli investimenti fissi lordi (soprattutto nella voce attrezzature e macchinari) un -12,1%; l’occupazione diminuì del 2,6% mentre il tasso di disoccupazione salì al 7,8%. Già nel 2010 – tranne che per l’occupazione – questi indicatori erano tutti tornati al segno positivo, autorizzando ad ipotizzare la ripresa di un percorso di risalita lento ma possibile. Anche per quanto riguarda il lavoro sarebbe ingiusto non apprezzare – come se fossero interventi di banale routine – le misure messe in campo, tempestivamente, dal Governo in materia di ammortizzatori sociali, privilegiando la cassa integrazione (quando la sinistra insisteva per migliorare l’indennità di disoccupazione) e contribuendo a salvare (si veda un documento che l’Isfol ha presentato durante un’audizione in Commissione Lavoro della Camera) ben 700mila posti di lavoro.
Tutto sommato, allora, non erano del tutto fuori luogo, nei primi mesi dello scorso anno, i segnali di fiducia che il premier indirizzava al Paese, magari con qualche eccesso di ottimismo (di qui l’accusa ripetuta e propagandistica di ). Dove sta il salto di qualità – imprevisto – intervenuto nella crisi ? Il default della Grecia ha spostato l’attenzione dei mercati dalle performance economiche alla stabilità dei conti pubblici dell’Eurozona e dei singoli Stati. I mercati tengono conto, assai più che nel passato, della credibilità dei Paesi rispetto alla loro capacità di onorare gli impegni assunti direttamente con gli operatori finanziari. Così il parametro principale della solvibilità è divenuto il debito sovrano: il che ha creato non pochi problemi per un Paese come il nostro che è particolarmente esposto su questo terreno.
In sostanza, nell’occhio della crisi sono finiti gli Stati. In tale contesto il bilanci pubblici contano di più delle performance economiche. Non è per caso che Barack Obama – benché l’economia Usa sia abbastanza dinamica – sia alle prese con l’assillo (anche per la brevità dei tempi) del bilancio federale, mentre la Germania torna in auge, non solo per la sua crescita economica (derivante da scelte puntuali di riduzione della spesa pubblica condivise dalle parti sociali), ma anche per la credibilità del sistema Paese, della sua classe politica e della sua etica pubblica, del della società. Il rilievo che assumono tali aspetti è del tutto inusitato. Si pensi che oggi il confronto tra i Paesi si compie con riferimento allo spread dei tassi di interesse dei titoli pubblici.
Grande importanza ha poi la stabilità politica dei singoli Stati. E’ vero: c’è anche la controprova del Belgio che non se la passa poi tanto male ancorchè sia stato per più di 400 giorni privo di un governo (ora pare che si sia messa a punto una nuova coalizione). Non c’è dubbio, però, che, da noi, il voto-lampo sulla manovra sia servito a ridare credibilità all’Italia, almeno fino all’autunno quando sarà necessario rimettervi mano allo scopo di tappare con maggiore affidabilità certi colmati in fretta e furia, durante il dibattito al Senato. Penso a quanto disposto a proposito dei tagli delle agevolazioni fiscali e contributive e dei benefici e prestazioni assistenziali: tagli già indicati nella apposita tabella ed assunti come copertura della manovra. Si tratta di misure non solo socialmente insostenibili ma anche non credibili sul piano delle grandezze finanziarie indicate. In ogni caso, nonostante i limiti, la manovra ha tenuto, almeno per ora.
E’ venuto però in evidenza un dato di fatto che la sinistra, per puro motivo di lotta politica, si ostina a negare. Le sorti del Paese non dipendono solo da noi, ma dall’azione della Europa (la quale a sua volta è in corto circuito con il resto del mondo). Se gli organismi dell’Unione dedicano tanta attenzione e tante risorse alla impresa sempre più disperata della salvezza della Grecia, una ragione dovrà pur esserci. È sufficiente il default di questo piccolo Paese per avere ripercussioni negative su tutta l’area dell’Euro. Se questa è la dimensione reale dei problemi perché, in Italia, vi è tanto accanimento delle forze politiche di opposizione, della grande stampa, dei media, dei nel criticare le nostre scelte, nello sminuire i loro effetti. Così è avvenuto per la manovra: siamo stati i primi a dire e a scrivere che non era credibile e che sarebbe servita a nulla, mentre in Europa riceveva misurati apprezzamenti. Che cosa può pensare un operatore finanziario straniero quando legge su di un giornale italiano che la manovra è inutile? E’ in grado di capire che quella notizia è dettata da motivi di lotta politica al Governo, è frutto di quel grande gioco alla sfascio in atto da noi oppure si limita a liberarsi dei titoli italiani? Almeno fino a quando, a nostra difesa, non scende in campo Angela Merkel.

Fonte: Occidentale del 25 luglio 2011

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