La prima settimana operativa del governo tecnico correrà parallela con uno stress test per l’industria italiana grande e piccola. Crisi aziendali che aspettano una soluzione, posti di lavoro in bilico tra ricollocazione e pensionamento. In qualche caso decisioni di politica dei settori che non sono più rinviabili. «Abbiamo da fronteggiare l’emergenza ma dobbiamo anche impostare una strategia di riposizionamento» sostiene Luigi Sbarra, segretario confederale Cisl. La sequenza comunque è da far tremare i polsi anche a ministri più collaudati, infatti nell’arco di pochi giorni bisognerà prendere decisioni importanti per la soluzione di vertenze come Fiat di Termini Imerese, Whirlpool (elettrodomestici), Adelchi (scarpe), Agile (informatica) e dell’intero made in Italy del materiale ferroviario. Buon per il governo che ieri intanto si sia raggiunto l’accordo per la soluzione del caso Antonio Merloni che si trascinava da anni.
La settimana si è aperta ieri con una manifestazione di artigiani della Cna che hanno riempito piazza Farnese a Roma per dar vita a un rito simbolico della protesta imprenditoriale: la consegna delle chiavi delle aziende. Slogan prescelto: «Se non riparto io, non riparte l’Italia». Venerdì 25 sempre a Roma sarà la volta dei lavoratori del settore del materiale ferroviario che hanno proclamato otto ore di sciopero e una manifestazione in piazza Santi Apostoli. La Finmeccanica ha deciso infatti di vendere la Ansaldo Breda, la Firema è da un anno in amministrazione straordinaria, la Fervet è fallita e non se la passano bene la Ferro Sud, la Keller, la Rsi e le Officine Salento. Il paradosso è che la Ferrovie e le Regioni nel 2012 distribuiranno commesse per riparazione dei treni per 450 milioni di euro ma le ditte italiane non si presentano alle gare e così vincono le svizzere, turche e spagnole. La debolezza delle nostre imprese abituate al sistema delle commesse garantite sta esplodendo e ci sarebbe da impostare una seria politica di settore ma intanto se Ansaldo Breda va ai francesi della Alstom rischiamo un altro autogoal. Tipo Parmalat.
Domani al ministero dello Sviluppo economico ci sarà da sancire il passaggio dell’impianto di Termini Imerese dalla Fiat al gruppo De Risio. «È stato un mezzo miracolo – commenta Vincenzo Scudiere, segretario confederale della Cgil – perché in un primo tempo sembrava che acquirente non fosse all’altezza dell’operazione». Saranno ricollocati nella nuova azienda 1.300 lavoratori e ne resteranno fuori circa 600. In casi come questo la ricetta del salvataggio/ristrutturazione si basa su tre elementi: un nuovo compratore, un accordo di programma che prevede incentivi nazionali e regionali variamente focalizzati e l’accompagnamento alla pensione degli operai in esubero. A Termini la Fiat dovrebbe garantire una sorta di buonuscita ma il nodo e il quesito resta: mentre il governo pensa di aumentare l’età lavorativa si può continuare a gestire le crisi aziendali con pensionamenti anticipati? La contraddizione è stringente anche se viene da lontano. La ristrutturazione della siderurgia è stata governata con i prepensionamenti e altrettanto si è fatto in casi di maxi-riorganizzazione come Alitalia e Telecom.
Intanto oggi riprende la trattativa tra i sindacati e gli americani della Whirlpool per i 600 esuberi che hanno come epicentro Varese. In verità tutto il settore elettrodomestici è a rischio e viene da un record negativo: 4 mila posti persi negli ultimi tre anni. L’assemblaggio si sta spostando sempre di più verso Polonia e Turchia e manca il guizzo innovatore che possa dare nuovo smalto (la domotica?) a un settore che è stato fondante per lo sviluppo del manifatturiero italiano e che invece rischia di ripercorrere il cammino del tessile. Se si continua così rischiamo la politica del carciofo e gli esuberi di Varese sarebbero solo la prima foglia. I sindacati continuano a sperare che si trovi un imprenditore disposto a rilevare le lavorazioni che la Whirlpool vuole chiudere (frigoriferi) ma già tre incontri all’Unione industriali di Varese sono andati a vuoto. La soluzione, si confida definitiva, invece è stata trovata per la Antonio Merloni, un rebus irrisolto da tre anni. Il nuovo padrone si chiama Giovanni Porcarelli e lo schema è il solito: accordo di programma che in questo caso si avvarrà di fondi europei, 700 operai riassunti e 200 avviati al pensionamento. I sindacati accusano le banche di ostacolare la cessione però tutto sommato si respira ottimismo.
Un’altra vertenza che ha riempito le cronache dei giornali è quella della Agile (ex Eutelia). L’azienda è in amministrazione straordinaria e giovedì 24 è previsto un incontro romano al ministero. La novità è che c’è un compratore all’orizzonte, la triestina Tds specializzata nell’informatica medicale. Sono in ballo 1.500 posti di lavoro e anche in questo caso l’iter di soluzione prevede un piano di riassorbimento e un progetto di ricollocazione delle eccedenze gestito con le Regioni e il Fondo sociale europeo. Ulteriori nubi all’orizzonte, invece, per il calzaturificio salentino Adelchi. La Cgil sostiene che i licenziamenti sono stati sospesi in attesa di un incontro a breve presso la Regione Puglia che dovrebbe tenersi giovedì 24. Gli operai sono in cassa integrazione da anni, le prospettive di trovare un acquirente si fanno sempre più esili e l’unica speranza consiste in un nuovo accordo di programma su base locale. E più che una soluzione è un ulteriore rinvio.
Settimana delle crisi, un test di governo
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