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Servono aziende più grandi. Strategia cercasi

In questi giorno il Consiglio dei Ministri vari, nell’ambito del processo del “semestre europeo”- sta discutendo sul Piano Nazionale di Riforme (PNR) con l’obiettivo di inviarlo a Bruxelles, dopo i passaggi di rito, il prossimo 30 marzo. Il CNEL ha approvato un documento di osservazioni e proposte il 7 marzo; lo si può leggere sul sito dell’organo.
Secondo la Commissione Europea, i PNR dei 27 Stati dell’Unione dovrebbero indicare le misure che intendono adottare a tal fine avanzare più rapidamente verso gli obiettivi della strategia Europa 2020 e intensificare gli sforzi per attuare le riforme riprese nelle raccomandazioni specifiche per ciascuno Statoe del 2011. Il Consiglio Europeo dell’1-2 marzo ha discusso le azioni necessarie a livello dell’Ue per portare avanti il completamento del mercato unico in tutti i suoi aspetti, sia interni che esterni, e promuovere l’innovazione e la ricerca. L’enfasi è ancora una volta sulla ricerca, sull’innovazione e sulla tecnologia.
Resta un interrogativo di fondo, centrale ai pensieri del Ministro per lo Sviluppo Economico, Corrado Passera: perché ci sono Paesi che salgono, nella scala dello sviluppo, ed altri la discendono (anche dopo essere arrivati ai piani intermedi oppure alti). Daron Acemuglu e James Robison offrono una risposta nelle 540 pagine del volume “Why Nations Fail: the Origins of Power, Prosperity and Poverty”, appena pubblicato, a Londra ed a New York, dall’editore Crown. Al termine di un’accurata analisi di storia economica (effettuata con tutta la strumentazione quantitativa dell’economia neo-istituzionale) giungono ad individuare le caratteristiche dei Paesi in crescita in quelli che hanno politiche economiche “inclusive” che proteggono i diritti individuali, incoraggiano sforzi di singoli e di imprese e promuovono gli investimenti. I Paesi in declino hanno in genere politiche “estrattive” che spremono individui, famiglie ed imprese per favorire un’élite di parassiti. Vengono studiati casi (ad esempio, la Repubblica di Venezia) di Paesi “inclusivi” diventati “estrattivi”. Merita una discussione in Consiglio dei Ministri o si rischia di essere accusati di essere “accademici”?
Più concreto un dibattito, sempre sul PNR, attinente alle dimensioni d’impresa. In queste ultime settimane, l’Eurostat ha prodotto statistiche da cui si ricava che mediamente nell’Ue la produttività del lavoro nelle imprese con meno di 250 addetti è la metà di quella in imprese con più di 250 dipendenti. Uno studio del Carnegie Mellon di Pittsburgh conclude che i severi problemi del debito estero di Grecia, Spagna e Portogallo – l’Italia non è trattata nell’analisi – altro non sono che la punta di un iceberg che ha le sue radici nella bassa produttiva delle piccole e medie imprese (Pmi) che caratterizzano le economie dei tre Paesi. Le dimensioni d’impresa – afferma lo studio – non sono , almeno per quanto riguarda il Portogallo un esito della regolazione del mercato del lavoro. Un’analisi analoga, condotta dalla London School of Economics, attiene alla Francia: le imprese si addensano al di sotto della soglia dei 50 dipendenti per determinanti esogene che riguardano la normativa tributaria e lavoristica.
In Italia, infatti, la prevalenza di imprese micro e piccole è grandissima. All’ultima radiografia Istat risulta che in Italia la media di dipendenti per imprese è 4 e che le imprese con più di 250 dipendenti sono circa il 18% del totale. Non occorre una strategia per aumentare la dimensione delle aziende?

Fonte: Il Riformista del 16 marzo 2012

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