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Selezione e merito per rilanciare industria e paese

Prendiamo sulla parola la promessa del ministro Passera (Sole24ore di domenica 11 marzo) di ridefinire in una o poche leggi l’intero sistema degli incentivi alle imprese, puntando su meccanismi automatici di credito d’imposta per ricerca e innovazione che evitino procedure “spesso lunghe, farraginose, discrezionali”. Incertezza e volatilità della normativa, combinate con tempi lunghissimi e incerti di risposta delle pubbliche amministrazioni nelle procedure dei bandi, sono ormai da tempo identificate tra le maggiori cause dell’inefficacia degli interventi in materia, così come della scarsa e calante attrattività dell’Italia per le decisioni dei gruppi multinazionali (anche italiani) su dove localizzare investimenti di produzione e ricerca nei prossimi anni.
Fra i tragici ritardi nel meccanismo legislativo entrano, fin dall’atto del concepimento, i tempi di ottenimento dei diversi pareri delle Camere e della Conferenza Unificata: guarda caso, più di un anno fa sono finiti nel nulla i decreti legislativi predisposti dall’allora ministro Romani, essendo nel frattempo scaduti i termini previsti dalla legge delega n. 99/2009 sul riordino degli incentivi. Sperabilmente l’attuale governo si cautelerà contro simili disfunzioni inter-istituzionali.
Un nuovo coraggioso disegno degli incentivi agli investimenti in ricerca-innovazione delle imprese dovrebbe tenere fermi almeno tre punti di fondo.
Primo, i crediti di imposta devono essere significativi (20-30%?) e soprattutto avere un orizzonte temporale medio-lungo (meglio se illimitato). Stanziamenti sussultori di corto respiro e connessi meccanismi da “click day” contraddicono la basilare esigenza delle imprese di progettare investimenti in ricerca e innovazione lungo archi temporali compatibili con il continuo evolversi delle tecnologie e i tempi non brevi di accertamento dei risultati. Non si compete altrimenti con le politiche di attrazione degli investimenti esteri praticate da quasi tutti i paesi, dalla Francia a Singapore. Incertezza sulla durata ed esiguità delle risorse pubbliche disponibili sono presumibilmente tra le maggiori spiegazioni della scarsa efficacia delle agevolazioni alla ricerca industriale, che emerge dalle stime empiriche dei ricercatori della Banca d’Italia, ottenute confrontando campioni rappresentativi di imprese beneficiarie e imprese non beneficiarie (Bronzini-Iachini e de Blasio-Fantino-Pellegrini, Temi di Discussione n. 791-792 , febbraio 2011; Bugamelli e altri su “LaVoce.info” 11 settembre 2011). Conclusioni simili erano state raggiunte dai medesimi ricercatori circa l’efficacia delle agevolazioni pubbliche agli investimenti fissi (De Blasio-Lotti, Mulino 2008).
Secondo, sempre nell’ambito dei crediti d’imposta e altri incentivi automatici, vanno studiati semplici ma incisivi meccanismi premianti per incentivare i progetti concepiti entro le nascenti esperienze di reti di impresa, alquanto diverse dai tradizionali distretti industriali (“Fare reti d’impresa”, AIP-Sole240re 2009). Sull’importanza delle “reti lunghe” si soffermano spesso, tra gli altri, i periodici rapporti dell’Osservatorio Nazionale Distretti Italiani (UNIONCAMERE-Intesa SanPaolo). La legge n. 122 del 30 luglio 2010 ha aperto infatti una strada assai interessante per combattere la ben nota iper-frammentazione del nostro sistema produttivo, peraltro accompagnata dalla dispersione fra i tanti piccoli centri di ricerca universitari e non accademici. Si tratta di una missione ancora possibile, se non si ferma alle lamentele convegnistiche o ai buoni propositi come l’istituzione del Mr. PMI, su cui ironizzava Alberto Orioli su questo giornale del 14 marzo 2011 in occasione dell’insediamento di Giuseppe Tripoli (oggi sottosegretario del ministro Passera) : “Non vorremmo che Pmi diventasse l’acronimo di Probabili Misure Inutili”. Il contratto di rete prevede agevolazioni fiscali alle imprese contraenti, che la Commissione Europea (26 gennaio 2011) ha già dichiarato non configurabili come “aiuto di Stato”, secondo un “programma comune di rete” gestito da un organo comune e possibilmente sostenuto da un fondo patrimoniale comune. Anche gli interventi con quote di capitale proprio mirati alla nascita di nuove imprese e alla riconversione di imprese esistenti, come quelli del Fondo Italiano Investimenti e del Fondo Italiano Strategico cui partecipa con quote significative la Cassa Depositi e Prestiti, dovrebbero concorrere allo scopo di stimolare la crescita dimensionale delle imprese minori e il perseguimento di maggiore capacità innovativa e commerciale tramite varie forme di aggregazione nel tessuto produttivo.
Terzo, va superata la tipica contrapposizione fra incentivi automatici e discrezionali, generalmente a favore dei primi in nome del “fallimento dei governi” e della “cultura di mercato”. Non solo nella finanza, “i mercati hanno bisogno degli Stati, così come gli Stati del mercato” (Martin Wolf, Perché la globalizzazione funziona, 2006). L’Italia stenta a riprendersi dalla crisi in corso e rischia di dissipare o perdere le proprie risorse umane più istruite e qualificate se non riesce a fare più massa critica di conoscenze e capacità produttiva. Dobbiamo coltivare con decisione le vocazioni competitive già oggi presenti ma estremamente disperse in numerose nicchie all’interno delle grandi filiere tecnologiche che attraversano i settori. Ce lo impongono le fortissime discontinuità che da più di due decenni stiamo vivendo nello sviluppo europeo e mondiale (dall’impetuoso avanzamento dei nuovi protagonisti della globalizzazione come Cina-India-Brasile alla nascita dell’euro).
Accanto agli incentivi automatici servono dunque pochi ma selezionati progetti di collaborazione imprese-centri di ricerca (tipo “Industria 2015”, ma per questo nodo irrisolto rimando ad un successivo intervento) , con rigorosa selezione meritocratica dei partecipanti e compiti di monitoraggio e valutazione affidati a organismi di controllo veramente indipendenti dalle strette logiche ministeriali e burocratiche.

Fonte: Sole 24 ore del 22 marzo 2012

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