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Se vince Gheddafi:tutto più caro e saremo più poveri, ma…

Molti credono che alla fine sarà Gheddafi a spuntarla. Lo credono, perché nella lotta il colonnello libico ha impegnato la sua vita, laddove gli occidentali – americani ed europei – cercano di spuntarla solo con incitamenti, con parole inutili. Esempio italiano: “Berlusconi si dimetta”, chiede l’opposizione dieci volte al giorno; e lui, semmai, si rafforza. Chi condivide questo modo di ragionare, non può non prospettarsi le conseguenze di una vittoria di Gheddafi per l’Italia e l’Europa con la quale cerchiamo di essere solidali, anche se solo parzialmente ricambiati. Si tratta soprattutto di prevedere le ripercussioni sull’economia, perché alla Libia non siamo legati né dalla politica né dalla lingua, ma da contiguità geografiche e da investimenti in impianti così costosi che nessuno ardirebbe pensare a distruggere se non animato da istinti fondamentalisti o autodistruttivi. Perché una cosa che dovrebbe essere a tutti palese è che una Libia di Gheddafi nel breve e nel medio termine (si è fantasticato di accordi tra Gheddafi e la Cina che non guarda in faccia a nessuno) potrà vendere il suo gas soltanto all’Italia e il ricavo libico dal gas è stato e sarà di gran lunga maggiore di quello derivante dalle altre produzioni libiche d’idrocarburi esportabili via marittima in qualsiasi direzione.
Nell’ipotesi che Gheddafi la spunti si può quindi prevedere che, prima o poi, dovremo concordare con il nuovo governo del dittatore la ripresa delle forniture a Gela di gas libico a prezzi fortemente rialzati, sia pur nei limiti delle maggiori forniture che ci sta ora facendo la Russia. Che questa ipotesi sia considerata prudenzialmente dal Governo italiano lo testimonia il ritmo con il quale per oltre una settimana, si è annunciato in ogni telegiornale che, dopo qualche ora, sarebbero partiti per nave dei sedicenti aiuti “umanitari” a Bengasi nelle mani dei giovani ribelli. Partiam, partiam e intanto si rinviava per vedere come andavano le cose e per predisporre anche il non facile trasferimento dei giovani i in Egitto e/o in Tunisia nella speranza di salvarli dalla vendetta di Gheddafi. E intanto Berlusconi cercava scelte e proposte prudenti. Niente blocco o sequestro di beni libici o di Gheddafi in Italia. Neppure il 7,5% nella Juventus. Il pretesto è: potremmo bloccare solo quelli personali del dittatore, ma come distinguerli? Anzi, il nostro Premier afferma che occorrerebbe un Piano Marshall per il Nord Africa organizzato dalla BCE e soldi soprattutto americani con i suoi bravi dosaggi tra grants e loans a fronte di impegni d’investimento da parte di imprese europee. Ottima idea hanno detto tutti, ma l’esperienza dice che non se ne farà nulla. Ed allora resta valida la previsione: rincari in Italia ed Europa degli idrocarburi ed anche ulteriori rincari dei prezzi dei prodotti alimentari che hanno certamente stimolato il malcontento nel Nord Africa e negli strati di popolazione più poveri in tutto il mondo al momento stesso in cui la disoccupazione dappertutto tocca il suo massimo.
Per fortuna, dagli Stati Uniti giungono buone notizie.
La loro disoccupazione continua a diminuire ed il dato non è distorto da costi e remore ai licenziamenti come accade da noi in Italia. Si può quindi sperare in maggiori importazioni americane, non risolutive, ma tonificanti per tutti i paesi. Se dall’America partisse una spinta alla congiuntura in tutto il mondo globalizzato – ma ci vorrà tempo – può darsi che la possibile vittoria in Libia di Gheddafi abbia in contropartita contemporanea un maggior ottimismo degli operatori italiani ed anche scelte governative un po’ meno titubanti di oggi. In sintesi, da entrambe le parti ci si potrebbe avviare verso migliori contatti, preludio ad una normalizzazione dei rapporti, in presenza della non aggirabile realtà del gasdotto che, prima o poi, dovrà riprendere a funzionare ed ammortizzarsi. A quali condizioni? Questo resta il maggiore interrogativo. Gheddafi è capace, ma per tempo non lungo, di far fare la fame a tutti, di pretendere altri indennizzi e baciamani che scandalizzano gli ipocriti politici, ma per fortuna non ci costano nulla. Con quei paesi, orgoglio e dignità non si monetizzano. Da parte nostra è importante essere non solo più intelligenti (ossia capire bene la controparte ed i suoi limiti), ma più furbi. In questo campo, Berlusconi non è secondo a nessuno in quanto aggiunge alle sue doti anche quella della “determinazione”. Non è dunque il caso di essere pessimisti, salvo per il rincaro del gas metano, i minori utili dell’ENI e, per finire, le perdite che ne deriveranno per la nostra economia. Dunque: minor sviluppo economico italiano, già troppo rallentato.
Questa prospettiva dovrebbe indurre da parte italiana una politica intesa ad una duplicazione degli sforzi per migliorare da un lato la qualità della nostra produzione onde accrescere l’esportazione e, dall’altro lato, di dare più fiducia agli investitori stranieri. La maldicenza internazionale antiberlusconiana, purtroppo, resterà un grosso handicap per attirare investimenti esteri. Ci sono, infine, ben sei richieste di Bernard-Henri Lévy, sempre in gamba e tempestivo. Ma solo quella di una non fly zone potrebbe frenare il dittatore. Troppo poco per cambiare le prospettive

Fonte: Note breve per gli Amici n.10 del 7 marzo 2011

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