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Se uno Stato non è più sovrano

L’accordo di Bruxelles sul secondo pacchetto di aiuti alla Grecia dimostra prima di tutto che né i Governi europei, né quello di Atene volevano accettare un’uscita della Grecia dall’Unione monetaria. Le condizioni per rendere digeribile dal punto di vista economico un addio traumatico di un Paese dell’area euro erano migliori che in passato, ma la dinamica della trattativa dimostra che le condizioni politiche non ci sono più. È difficile che in futuro questo dato di fondo possa cambiare.
I partner in pratica hanno accettato di subire i costi onerosi di un accompagnamento decennale della Grecia verso il reintegro nell’economia europea. Il Governo di Atene accetta da parte sua i gravosi costi politici di un programma di radicale revisione delle abitudini elleniche. Funzionari della Commissione europea saranno insediati in ogni ministero, introducendo tecnologia informatica che razionalizzerà il rapporto tra potere pubblico e cittadini. Primo fra tutti quello tra l’amministrazione e i contribuenti.
L’accordo riduce gli oneri finanziari sul debito greco e lascia quindi l’economia greca non troppo lontana da un equilibrio di bilancia dei pagamenti. Sarà però necessario raggiungere un attivo del bilancio pubblico del 5% (da qui il rafforzamento dell’amministrazione fiscale) per essere in grado di autofinanziarsi nel corso della seconda metà del decennio. Non sarà facile se l’economia non torna a crescere. Ma la carenza della strategia europea per lo sviluppo era condizionata dall’irritazione dei partner a fronte dell’incapacità dei governi greci di garantire la futura solida base di prelievo fiscale dal 2014 in poi.
Per ottenere tali garanzie, l’Europa entra nel cuore della somma potestà dello Stato, dimostrando che moneta e fisco si sono oramai distaccate dalla sfera delle prerogative esclusive della nazione. È davvero ironico che il capo del partito di estrema destra greca abbia invocato la possibilità per il suo Paese di avere di nuovo accesso ai mercati per finanziarsi, preferendo la durezza impersonale degli investitori stranieri, alla condivisione di sovranità con l’Europa. Il 77% dei cittadini greci non sembra condividere un nazionalismo estraneo alla realtà e chiede di rimanere nell’euro.
Avendola rifiutata per la Grecia, la decisione di Bruxelles toglie dal quadrante di guida della crisi l’opzione di un’uscita dall’euro per tutti i 17 Paesi. È possibile che gli investitori internazionali rivedano la valutazione complessiva del rischio dell’area euro sulla base della sua garanzia di sopravvivenza. Solo nel novembre scorso non era così. Gli spread potrebbero dunque scendere in futuro, ma almeno all’inizio i benefici finanziari per i Paesi in difficoltà potrebbero rimanere limitati. Il taglio dei crediti privati deciso lunedì per la Grecia corrisponde infatti a quello di un default e da ieri mattina è diventato realtà.
Tassi troppo onerosi sui finanziamenti dei singoli Paesi possono ancora creare una nuova spirale debito-deflazione come quella vista in Grecia. Per evitarlo i Paesi dell’eurozona devono ancora istituire un fondo adeguato anticrisi. E forse è questo l’aspetto più interessante della trattativa di ieri. Il Fondo monetario internazionale ha annunciato di voler decidere in aprile sul proprio contributo al Fondo salva-Stati europeo, cioè dopo aver visto se gli europei stessi avranno costruito un fondo più ambizioso di quello attuale. I 500 miliardi dell’European stability mechanism (Esm) potrebbero essere portati a 750 o sommando le risorse dell’attuale Fondo di stabilità finanziaria o escogitando nuovi meccanismi di finanziamento. Entro aprile dunque gli ingranaggi di “solidarietà finanziaria” dovrebbero essere approntati. Ma proprio in quel mese si terranno le prossime elezioni greche dalle quali dovrà uscire un Governo che si adegui agli accordi attuali. È possibile che assisteremo di nuovo in quel periodo a un braccio di ferro su un livello di intensità politica e finanziaria ancora più alto: più fondi messi in comune e più vincoli ereditati da un Governo neoeletto. Giudicando dalle ultime settimane, si tratta di un’altra di quelle scelte impossibili che alla fine sono risolte dal fatto di essere prive di alternativa.

Una volta sistemata la questione greca, con il Governo di Atene cioè monitorato a cuore aperto dai partner, anche gli altri Paesi saranno misurati sulla scala delle riforme che i creditori imporranno ad Atene. L’evasione fiscale diventerà un parametro della politica pubblica europea, così come la corruzione pubblica o privata, la perdita di competitività o l’incapacità di utilizzare i fondi strutturali. L’accordo sugli aiuti ad Atene è un’ottima notizia. Ma per l’Italia, parafrasando Gaber, è giunto il momento di non aver paura «della Grecia in sé, ma della Grecia in me».

Fonte: Sole 24 Ore del 22 febbraio 2012

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