Rinviare le decisioni del Governo a settembre e chiudere il Parlamento per le vacanze di agosto sono la prova ultima dell’irresponsabilità della politica italiana. Una dimostrazione che per la prima classe a bordo del Titanic l’importante è solo che l’orchestra continui a suonare. Ieri per la terza volta negli ultimi 15 mesi la Bce ha cercato di riprendere per i capelli l’euro quando tutto sembrava perduto. La Banca di Francoforte ha immesso nuova liquidità per rimediare a un blocco dei mercati interbancari e ha annunciato interventi sui mercati dei titoli pubblici.
La Bce potrà acquistare titoli di altri Paesi – irlandesi e portoghesi – per mettere al riparo dai mercati quei governi che stanno davvero facendo le riforme necessarie a raddrizzare le loro economie. Francoforte non potrà invece acquistare i titoli italiani se il Governo e il Parlamento non prenderanno misure immediate e credibili, perché la Bce non può in alcun modo, giuridico o politico, supplire a governi che non si impegnano credibilmente nel mantenere solvibile il proprio Paese.
Acquisti di titoli pubblici da parte della Bce c’erano già stati nel maggio e nel dicembre 2010 e di nuovo ora in condizioni sempre più difficili provocate da risposte carenti della politica. Il ripetersi di crisi ogni volta più gravi dimostra che la Bce può tutt’al più guadagnare tempo. Non può rimediare a deficit di iniziativa politica che in Italia sono apparsi evidenti anche nell’informativa parlamentare di mercoledì. In quell’occasione il capo del Governo ha accusato i mercati di sbagliare nel giudicare l’Italia. La risposta di ieri è chiara: i mercati possono sbagliare più a lungo di quanto l’Italia, costretta a rifinanziare un debito enorme a tassi crescenti, possa rimanere solvibile.
E non c’è una speculazione maligna a fornire l’alibi morale al Governo, c’è prima di tutto la paura legittima e concreta dei risparmiatori e dei creditori. Nell’ultimo mese i titoli di Stato decennali italiani hanno perso il 9% del loro valore, più di quanto succede a titoli azionari rischiosi. Quale ragione avrebbe il risparmiatore di un qualsiasi Paese per dare fiducia all’Italia, quando vede che il nostro Paese si nasconde dietro un fatalismo vacanziero? Dovesse aggravarsi la crisi in agosto, sarebbe difficile perfino convocare il Parlamento d’urgenza. A settembre, quando il Governo vuole aprire i soliti tavoli di confronto della politica, ci saranno rinnovi di titoli pubblici per molte decine di miliardi. È sufficiente che una sola asta vada male per precipitare la crisi.
Osservare che anche la politica europea non offre risposte rapide ed efficaci non consola. Dopo il vertice europeo del 21 luglio è diventato chiaro che l’Italia è il problema europeo. Da allora gli spread di Grecia, Irlanda e Portogallo sono scesi, mentre sono aumentati quelli di Spagna, Belgio e, più di tutti, Italia. La ragione è che il fondo salva-stati (Efsf) non sarà mai in grado di salvare un Paese di tali dimensioni. Oltre a tutto i nuovi poteri di intervento sul mercato attribuiti al fondo saranno operativi a ottobre e comunque le risorse utilizzabili sono poche.
Le responsabilità dei governi europei assomigliano in fondo a quelle nazionali. In passato il tempo guadagnato dalla Bce non è stato usato per attrezzare risposte comuni alla crisi del debito europeo. Al contrario i governi hanno approfondito la crisi prima con il suicidio di Deauville (ottobre 2010), rendendo concreto il coinvolgimento degli investitori in titoli europei in caso di default, e poi con i Consigli Ue di giugno e luglio in cui l’eventualità del default di un Paese dell’euro è stata ammessa e perfino incoraggiata. Il fatto che ciò sia avvenuto a fronte di un alleggerimento del debito greco pari a solo il 12% del Pil dimostra il carattere incoerente delle decisioni del Consiglio Ue. Comunque sia, una soluzione europea ora è impossibile. Ottenere l’accordo di 17 governi e 17 parlamenti per conferire risorse al fondo comune con emissioni di eurobond non può essere fatto né in pochi giorni, né in poche settimane.
Non resta dunque che la Bce (a prescindere dagli infortuni verbali di Jean-Claude Trichet, sugli acquisti di bond, ieri in conferenza stampa) a preservare la stabilità finanziaria e a contrastare la sfiducia univoca dei mercati. Ed è curioso che proprio sulla Banca si sia aperto ieri un nuovo dissidio tra Berlusconi e Tremonti. La Bce tuttavia ritiene di essere arrivata al limite delle proprie capacità di intervento a favore dei titoli pubblici e da mesi aveva sospeso gli acquisti. Ma delegare questo compito a un Efsf ancora privo di risorse ha allarmato anziché rassicurato i mercati. Ora interventi ad hoc della Bce possono provocare perdite occasionali a investitori che non vedono ragioni se non quella di vendere. Ma come osserva la Bundesbank, contraria agli interventi, giorno dopo giorno la posizione del Sistema europeo delle banche centrali può diventare insostenibile se il Paese colpito non sa rimettersi in piedi. Per questo è tanto urgente che il Governo italiano si risvegli dal proprio mondo onirico. Vari subito decreti legge di vera riforma e annunci che chiederà su di essi il voto di fiducia al Parlamento.
Ieri è stato lo stesso presidente Trichet a indicare la strada: agire subito, non a settembre, con riforme strutturali e anticipando la correzione di bilancio. Un parametro semplice e impietoso su cui valutare il dibattito parlamentare di mercoledì. Leggendo l’ingiunzione delle parti sociali rivolta ieri al Governo appare chiaro che la ricetta di Trichet è la stessa condivisa dal Paese, dai lavoratori e dalle imprese, e tante volte proposta anche sul Sole 24 Ore. Ma anche ieri nel pieno della tormenta il Governo ha cercato di rinviare le decisioni a settembre. In fondo ad agosto si può sempre chiedere all’orchestra di suonare un po’ più forte.
Se Trichet può solo guadagnare tempo
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